Le Entrate: l’assegnazione di diritti disomogenei vale come divisione
La risposta a interpello n. 30 del 6 febbraio 2020
È da qualificare come divisione l’atto con il quale Tizio, Caio e Sempronio, che siano comproprietari per un terzo ciascuno (ad esempio, a seguito di una eredità) dell’immobile A, di valore 50, e dell’immobile B (di valore 100) convengono che:
● Tizio divenga esclusivo proprietario dell’immobile B;
● Caio divenga nudo proprietario dell’immobile A;
●Sempronio divenga usufruttuario dell’immobile A.
È questo l’interessante contenuto della risposta a interpello n. 30 del 6 febbraio 2020, in cui si prende, dunque, in esame l’inusuale caso che l’assegnazione divisionale consista nell’attribuzione ai condividenti di diritti disomogenei (nel caso specifico: a taluno il diritto di piena proprietà, a taluno il diritto di usufrutto, a taluno il correlato diritto di nuda proprietà).
L’attribuzione di diritti disomogenei, stante l’inusualità di questa soluzione, potrebbe far dubitare che, lo schema osservato, sia una divisione: la struttura «classica» di una divisione è infatti quella dell’assegnazione a ciascun condividente di un diritto esclusivo (su una porzione della massa precedentemente comune) in luogo della quota di contitolarità dell’identico diritto in precedenza appartenente in comunione a una pluralità di soggetti.
Ad esempio: nel caso in cui Tizio e Caio siano comproprietari, nella quota di metà per ciascuno, di due appartamenti, la divisione ha normalmente come esito che Tizio divenga esclusivo proprietario di un appartamento e Caio divenga esclusivo proprietario dell’altro appartamento.
La risposta n. 30/2020 è dunque interessante perché le Entrate avallano la tesi secondo cui anche l’attribuzione di diritti disomogenei è qualificabile come divisione: e si tratta di una conclusione con importanti ricadute pratiche, in quanto la divisione è uno schema negoziale assai appetibile per il suo limitatissimo carico fiscale.
Infatti, l’imposta di registro dovuta per una divisione si calcola applicando l’aliquota dell’1% (quasi la più bassa in assoluta tra tutte quelle stabilite dalla legge di registro, il dpr 131/1986) al valore imponibile rappresentato dalla massa comune oggetto di divisione (la quale, se consta di beni immobili, si valuta non per il suo valore venale, ma per il suo valore catastale, a meno che si tratti di aree edificabili in relazione alle quali ci si deve riferire al corrente valore di mercato).
Se poi (tornando allo specifico caso osservato nella Risposta n. 30/2020) Sempronio sia un 65enne – caso nel quale l’usufrutto vale il 50 per cento del valore del diritto di piena proprietà – la divisione come sopra convenuta è da qualificare come “divisione senza conguaglio” e la tassazione si limita al predetto 1 per cento della base imponibile; se, invece, le varie assegnazioni comportassero l’emersione di una differenza tra il valore della “quota di diritto” (il valore spettante sulla massa) e il valore della “quota di fatto” (il valore della specifica assegnazione) allora ci sarebbe da tassare un valore di conguaglio, per il quale si applica il trattamento fiscale proprio degli atti traslativi e cioè come se il conguaglio fosse il prezzo di una compravendita.