Controlli e liti

L’intimazione sugli interessi deve indicare tassi e decorrenze

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di Stefano Mazzocchi

Qualora non sia stata preceduta da un atto impositivo, correttamente notificato al contribuente, l’intimazione di pagamento dev’essere motivata «in modo congruo, sufficiente ed intellegibile»: il principio è stato recentemente ribadito dalla Ctp di Vicenza con la sentenza 688/03/17 (presidente e relatore Tomaselli), sulla base di quanto prescrivono l’articolo 3 della legge 241/1990 in via generale per tutti gli atti amministrativi, nonché l’articolo 7 della legge 212/2000 (Statuto del contribuente), per i rapporti tributari.

In applicazione del principio illustrato, i giudici veneti hanno affermato che nell’ipotesi in cui l’intimazione di pagamento non indichi il tasso e la decorrenza, il contribuente non è posto nella condizione di verificare la correttezza del calcolo degli interessi operato dall’amministrazione finanziaria sulla base della somma dovuta. In particolare – questo il ragionamento svolto dalla Ctp – per quanto attiene agli interessi, la sola indicazione degli importi, senza alcuna specifica dei conteggi che hanno dato luogo a quegli importi, «viola il fondamentale diritto di difesa del contribuente, in quanto gli pone a carico, indebitamente, difficili operazioni interpretative di numerazioni».

Nell’occasione, la provinciale vicentina ha anche confermato il consolidato orientamento assunto dalla Corte di cassazione, secondo cui la responsabilità solidale ed illimitata del socio per i debiti della Snc (di cui all’articolo 2291 del Codice civile) opera – in assenza di una deroga espressa – anche per i rapporti tributari. Da tale principio, ne deriva che successivamente all’iscrizione a ruolo dell’imposta a carico della società il socio rimane sottoposto all’esazione del debito, ancorché egli sia privo della qualità di obbligato e, quindi, estraneo agli atti impositivi rivolti alla formazione del ruolo stesso.

Nella sentenza in rassegna, i giudici veneti hanno tra l’altro sottolineato quanto segue:

la regola che precede si applica sempreché il creditore non abbia potuto soddisfarsi sul patrimonio sociale. Nella situazione prospettata, quindi, ben può l’agente della riscossione notificare l’avviso di intimazione al socio;

ai fini dell’esercizio dell’azione di cui al richiamato articolo 2291 del Codice civile, non è richiesta alcuna valutazione da parte dell’ente impositore (tale conclusione appare in linea con quanto affermato dalla Cassazione con la sentenza 22 maggio 2006, n. 12022).

La pronuncia di merito in commento è, infine, degna di nota anche perché aderisce all’orientamento che esclude dalla competenza delle commissioni tributarie le controversie sui crediti di natura non fiscale (tesi ben espressa dalle Sezioni unite della Cassazione con l’ordinanza 14831/2008 ).

Di conseguenza, in applicazione del principio della traslatio iudicii – affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza 77/2007, e disciplinato dall’articolo 59 della legge 69/2009 – il processo (per la parte relativa ai crediti non fiscali) potrà essere riassunto davanti al giudice ordinario entro tre mesi dal passaggio in giudicato della sentenza della commissione tributaria che abbia negato la propria competenza.

Ctp di Vicenza, sentenza 688/03/17

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