La doppia vendita di immobili ben motivata non si riqualifica in permuta
La Ctr Emilia Romagna contesta la presunzione delle Entrate di applicazione del modello di vendita di cosa futura
Se la doppia vendita incrociata tra le parti è motivata l’ufficio non può presumere una permuta. A fornire questa indicazione è la Ctr Emilia Romagna con la sentenza 1160/14/2020 depositata il 27 ottobre scorso (presidente e relatore Cocchi).
La vicenda
Nel 2010 un contribuente alienava un albergo in disuso a una società per un milione di euro da pagarsi entro il 31 luglio 2012. Successivamente, la società, in data 5 luglio 2012, alienava allo stesso contribuente e ad alcuni suoi familiari sei appartamenti e cinque garage (box auto) del nuovo complesso immobiliare derivati dalla ricostruzione dell’immobile, sempre per la cifra di un milione di euro. Le rispettive posizioni creditorie venivano compensate, e la società procedeva all’emissione delle fatture di vendita e al versamento dell’Iva dovuta sul prezzo indicato a rogito.
L’agenzia delle Entrate contestava un “simulazione relativa” dello schema contrattuale, riconducendo i due negozi di vendita a un unico contratto di permuta di cosa presente con futura. Con l’istituto della permuta, ricorrente nella prassi immobiliare, il proprietario di un terreno, in genere, cede un’area fabbricabile a un costruttore, il quale, in corrispettivo del terreno, trasferisce uno o più appartamenti scelti tra quelli che verranno edificati.
In base a tale riqualificazione, l’ufficio ha ricollegato il momento impositivo ai fini Iva per la società non al momento della vendita degli appartamenti del 2012 (il secondo atto dello schema negoziale), ma a quello in cui la permuta si sarebbe realizzata, ovvero nel momento della prima stipula contrattuale (il trasferimento dell’albergo da demolire avvenuto nel 2010). Ne conseguiva il recupero dell’Iva, nonostante dovesse essere sicuramente rimborsata dall’Erario qualora incassata, in quanto versata in egual misura nel 2012. Attraverso tale recupero all’ufficio era consentito comunque di recuperare interessi e sanzioni per tardiva emissione di fatture e dichiarazione infedele.
La decisione
La Ctp di Rimini prima, e la Ctr dell’Emilia-Romagna poi, hanno accolto la tesi del contribuente, annullando l’atto impositivo. L’operazione, ovvero la stipula di due negozi giuridici autonomi, seppure tra loro astrattamente collegabili, si è così articolata:
O vendita dell’immobile presente dall’originario proprietario al costruttore;
O successiva vendita dei beni futuri da quest’ultimo all’originario proprietario.
Partendo dalla ratio regolante la disciplina dell’abuso del diritto, la società ha dimostrato che la scelta dello schema giuridico della “doppia vendita” ha avuto una serie di benefici per i contribuenti che rendevano residuale lo spostamento del momento impositivo dal 2010 al 2012, come contestato dall’ufficio.
Questo schema contrattuale ha infatti garantito maggiori vantaggi alle parti non solo dal punto di vista fiscale, ma anche sotto il profilo commerciale e della disciplina civilistica. Si pensi al tema della circolazione soggettiva del contratto con riguardo alle problematiche interpretazioni dell’articolo 1411 del Codice civile sulla nomina di terzi beneficiari; alla ipotecabilità del bene in costruzione per reperire fondi, pratica dubbia in caso di permuta con cosa futura; alla maggiore tutela rispetto al fallimento del costruttore, grazie alla non assoggettabilità del primo negozio alla revocatoria fallimentare ex articolo 67 della legge fallimentare.
Per tali ragioni, congiuntamente alla circostanza che nel secondo negozio intervenivano anche soggetti diversi rispetto al primo (i familiari), i giudici hanno deciso di accogliere le motivazioni della società, annullando l’atto impositivo.