Imposte

Lavori in casa gonfiati o fittizi, quando il superbonus fa reato

Fino a otto anni per chi emette fatture per opere non realmente eseguite

di Antonio Iorio

L’indebita fruizione del credito di imposta del 110% per gli interventi di isolamento termico, per la sostituzione di impianti di climatizzazione e così via, può comportare conseguenze penali tributarie assai gravose, aldilà delle specifiche sanzioni a carico degli attestatori.

Basti pensare a quanto accaduto in questi ultimi anni dopo i controlli sui crediti di imposta per ricerca e sviluppo con “l’aggravante”, nel caso del bonus 110%, che la sua fruizione sarà certamente più estesa e, quindi, è verosimile una maggiore diffusione di accertamenti e di potenziali contestazioni.

Le tre ipotesi illecite

Astrattamente si possono ipotizzare le eseguenti situazioni illecite.

1. I lavori non fatti. Innanzitutto, potrebbe configurarsi il caso in cui i lavori in questione non vengano svolti, ovvero riguardino interventi del tutto differenti rispetto a quelli previsti per l’accesso al beneficio e indicati nelle fatture rilasciate dalla ditta fornitrice.

Questa ipotesi appare meramente scolastica in quanto presupporrebbe una (pericolosa) connivenza illecita della ditta esecutrice dei lavori, di chi li riceve e degli attestatori.

2. Importo dei lavori sovrafatturati. L’altra situazione ipotizzabile, e per la verità anche più frequentemente configurabile, riguarda i casi in cui i lavori descritti in fattura siano stati effettivamente eseguiti, tuttavia il costo venga sovrastimato e ciò verosimilmente per fruire di un maggiore credito di imposta rispetto a quello realmente spettante o per ottenere, a fronte della medesima spesa, anche l’esecuzione di lavori non ammessi al beneficio.

3. I lavori fatti da soggetti differenti. È poi anche ipotizzabile che i lavori vengano fatturati da un’impresa differente da quella che ha effettivamente eseguito i lavori, ad esempio perché il cliente ha necessità di cedere il credito d’imposta e l’impresa, per le più svariate ragioni, non può utilizzarlo.

In tutte le ipotesi descritte, potrebbero configurarsi alcuni illeciti: operazioni inesistenti oltre che, a determinate condizioni, indebite compensazioni (si veda l’altro articolo in basso).

Infatti, secondo l’articolo 1 del Dlgs 74/2000 per operazioni inesistenti si intendono le fatture o gli altri documenti emessi a fronte di operazioni:

- non realmente effettuate in tutto o in parte (come si verificherebbe nella prima ipotesi illecita);

- che indicano i corrispettivi o l’imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale (seconda ipotesi),

- che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi (terza ipotesi).

Peraltro, dallo scorso dicembre 2019, i reati di emissione di fatture per operazioni in tutto o in parte inesistenti, ovvero di dichiarazione fraudolenta attraverso l’utilizzo di tali falsi documenti, sono puniti in modo particolarmente grave.

I reati e le pene previste

In capo all’impresa che esegue i lavori, e quindi che emette le fatture, è configurabile il delitto previsto dall’articolo 8 del Dlgs 74/2000 in base al quale è punito con la reclusione da quattro a otto anni chiunque, al fine di consentire a terzi l’evasione, emette o rilascia fatture per operazioni inesistenti.

In base all’articolo 1 del Dlgs 74/2000, inoltre, il fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte (che potrebbe essere dubbio, nel caso in cui chi riceva le prestazioni sia un privato) include anche la possibilità di consentire a terzi il riconoscimento di un inesistente credito d’imposta. Ne consegue la possibile integrazione di questa condotta penale illecita a prescindere da chi poi fruisce indebitamente del credito (il contribuente che riceve la fattura o la ditta che esegue i lavori perché ceduto dall’interessato). Nel caso in cui l'importo non rispondente al vero sia inferiore a 100mila euro, si applicherebbe la reclusione da uno anno e sei mesi a sei anni.

Per chi ha beneficiato dei lavori, infine, e quindi ha ricevuto le fatture:

se le ha indicate in dichiarazione (si pensi al caso di un’impresa o di una persona fisica che detrae l’imposta) si configurerebbe lo speculare delitto di dichiarazione fraudolenta (punito analogamente all’emissione),

se invece si tratta di persona fisica, non di un soggetto Iva, che non ha indicato in dichiarazione la fattura, si potrebbe configurare il concorso nel precedente reato di emissione commesso dall’impresa edile.

Ovviamente, l’utilizzatore del credito acquistato (quali banche o imprese assicurative) non rischiano tali gravose conseguenze, se ignari degli illeciti penali commessi. Restano ferme invece, a certe condizioni, le contestazioni sotto il profilo tributario.

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