LE PAROLE DEL NON PROFIT/Tassata la plusvalenza da cessione infraquinquennale dell’immobile donato
Per gli enti non profit plusvalenza sulla cessione degli immobili ricevuti per successione o donazione con trattamento fiscale differenziato. La vendita di beni ricevuti a titolo gratuito allo scopo di destinare il ricavato a specifici progetti solidaristici è una prassi diffusa tra gli enti non lucrativi, che sempre più di frequente sono destinatari di lasciti solidali. Tali cessioni vanno, tuttavia, considerate con attenzione tenendo conto sia delle implicazioni reddituali sottese all’operazione di rivendita che dello specifico regime fiscale seguito dal dante causa al momento dell’acquisto.
Sul primo fronte, l’articolo 67 del Tuir stabilisce che sono redditi diversi le plusvalenze realizzate mediante vendita di beni immobili acquistati (o ricevuti in donazione) o costruiti, da non più di 5 anni, ad esclusione espressa di quelli acquisiti per successione e di quelli adibiti ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari. La disposizione, modificata con il decreto Bersani (Dl 223/2006), non contempla più le donazioni tra i titoli di provenienza che consentono di attribuire neutralità fiscale all’operazione di rivendita. Ciò, al fine di evitare possibili abusi, nelle ipotesi in cui il donatore dell’immobile oggetto di alienazione non abbia maturato il requisito dei 5 anni dall’acquisto (o dalla costruzione).
Sotto il versante dichiarativo, quindi, l’ente non profit che procede alla vendita di un immobile acquistato per donazione dovrà valutare attentamente il decorso del quinquennio al fine di disinnescare la plusvalenza dal punto di vista fiscale. In caso contrario dovrà valutare l’effettivo incremento patrimoniale tenendo conto del costo di acquisto per il donante e il reddito prodotto andrà dichiarato nell’apposita sezione del quadro RL «Altri redditi» (indicati nella sezione II, rigo RL6 del modello Enc 2019).
L’obbligo dichiarativo della plusvalenza scatta nel momento in cui viene incassato dall’ente il corrispettivo, totale o parziale, della vendita, in virtù del principio di cassa. In caso di incasso parziale, la plusvalenza da dichiarare è proporzionale alla frazione di corrispettivo incassato.
In deroga ai criteri ordinari, laddove la vendita abbia ad oggetto beni immobili acquistati (o costruiti) da non più di 5 anni, è prevista per l’ente anche la possibilità di applicare un’imposta sostitutiva pari al 20 per cento. Si tratta di una modalità di tassazione introdotta con la legge finanziaria 2006 (articolo 1, comma 496, della legge 266/2005), alternativa a quella ordinaria, la cui scelta è rimessa al contribuente, che deve farne espressa richiesta al notaio all’atto di vendita (sul punto si veda la risoluzione 143/E/2007). In caso di opzione, il notaio provvede al versamento dell’imposta sostitutiva entro 30 giorni dalla stipula dell’atto e comunica i relativi dati presentando in via telematica apposito modulo secondo le istruzioni fornite dall’agenzia delle Entrate nel provvedimento 133524/2006. Di conseguenza, con l’applicazione dell’imposta sostituiva sulle plusvalenze, l’ente non sarà tenuto ad indicare in dichiarazione i corrispettivi derivanti dalla vendita.
Discorso diverso, invece, se la plusvalenza deriva dalla vendita di un bene ricevuto per eredità o legato. In questo caso infatti la rivendita del bene immobile non è imponibile ai fini delle imposte dirette a prescindere dalla maturazione del periodo minimo di possesso, ad eccezione dei terreni edificabili.