Controlli e liti

Le polizze assicurative «da investimento» accrescono patrimonio e reddito Irpef

di Bruno Giuffré e Antonio Longo

L’accertamento sintetico del maggior reddito Irpef di un contribuente è legittimo quando i premi pagati per alcune polizze assicurative sono «eccessivi» rispetto al reddito dichiarato. Lo ha deciso la Corte di Cassazione con la sentenza del 19 luglio 2017 n. 17793, dando credito ad alcuni avvisi con i quali l’Agenzia delle Entrate, basandosi sul redditometro, aveva accertato pagamenti per polizze assicurative indicatori di una maggiore capacità contributiva del sottoscrittore rispetto a quella dichiarata.

Il ricorso
Nel ricorso contro la decisione della Ctr Lombardia, il contribuente eccepiva che nel convalidare l'accertamento delle Entrate i giudici di merito avrebbero ritenuto erroneamente rilevante la titolarità di polizze vita ai fini del redditometro. Ciò senza considerare che, in questo particolare contesto, le polizze vita sono espressamente escluse dagli indici presuntivi di reddito (articolo 9 della tabella allegata al Dm 10 settembre 1992, richiamato dall'articolo 38 del Dpr 600/1973).

La Cassazione, però, ha respinto il ricorso, in quanto i giudici di secondo grado «con accertamento di fatto esente da vizi logici», (i) hanno qualificato le polizze in questione (non come prodotti assicurativi sulla vita, ma) come «investimenti»; e (ii) per l'effetto, hanno correttamente considerato i premi relativi a queste polizze alla stregua di fatti-indici di capacità contributiva rilevanti per l'accertamento del maggior reddito.

Presunzione non applicabile
Secondo la Suprema Corte, peraltro, non trova applicazione la presunzione applicabile ratione temporis secondo cui la spesa per incrementi patrimoniali doveva considerarsi sostenuta con redditi conseguiti, in quote costanti, nell'anno di sostenimento e nei quattro precedenti.
Al riguardo, i giudici di legittimità ritengono che i premi pagati periodicamente siano esborsi effettuati per ottenere un capitale futuro, in relazione ai quali la capacità contributiva è «diluita» nel tempo, con la conseguenza che è corretta l’imputazione di quei premi ai singoli anni in cui gli stessi sono stati versati.

Dalla decisione della Suprema Corte non è possibile cogliere tutti gli elementi di fatto che hanno condotto i giudici di merito a riqualificare il contratto di assicurazione sulla vita in un contratto con causa «di investimento».
Questa sentenza, tuttavia, sembra seguire l'orientamento di quella parte della giurisprudenza secondo cui, quando la polizza diviene lo strumento giuridico con cui si effettuano investimenti finanziari e il rischio non è più assunto dall'assicuratore, ma ricade esclusivamente sull'assicurato, la causa del contratto cessa di essere assicurativa-previdenziale per divenire quella finanziaria-speculativa tipica degli strumenti finanziari (Corte d’Appello di Bologna, sentenza 28 luglio 2016 n. 1396; Tribunale di Torino, sentenza 17 marzo 2016; Tribunale di Rimini, sentenza del 3 aprile 2014; Tribunale di Firenze, sentenza del 25 giugno 2015; Tribunale di Siracusa, sentenza del 17 ottobre 2013).

Invero, negli ultimi anni, le polizze sono state oggetto di specifica attenzione anche da parte dell'Agenzia delle Entrate, che ha negato alle stesse i benefici fiscali concessi dalla legge laddove ravvisava un utilizzo improprio dello strumento assicurativo (e.g. gestori in Paesi “black listed”, soggetto assicurato diverso dal contraente e particolarmente anziano e/o malato, commistione nella gestione della polizza tra gestore e “policyholder”, stipula di polizze in presenza di situazioni debitorie acclarate, ecc.).

Ciò non toglie che le polizze assicurative continuino ad essere un valido strumento per la pianificazione patrimoniale e previdenziale, anche in ragione dei benefici civilistici e fiscali che la legge riconosce (impignorabilità, insequestrabilità, esenzione ai fini delle imposte di successione e donazione, esenzione ai fini delle imposte sui redditi per la parte a copertura del rischio demografico).

Del resto, anche le polizze che si caratterizzano per avere un maggiore contenuto finanziario (le cd. polizze di “ramo III”, tra cui le “unit linked”) sono strumenti assicurativi espressamente previsti dal legislatore nel Codice delle assicurazioni private (D.Lgs. 209/2005). Inoltre, recentemente, la stessa Agenzia delle Entrate ha fornito specifici chiarimenti in relazione al regime fiscale delle polizze che non offrono alcuna garanzia di restituzione del capitale investito e che presentano un limitato rischio demografico, di fatto riconoscendo che non tutti i prodotti assicurativi a contenuto finanziario possono, di per sé, essere riqualificati in strumenti di mera gestione patrimoniale (cfr. Circolare n. 8 del 2016).

Corte di cassazione, sentenza n. 17793/2017

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