Imposte

Lettere d’intento, vecchi ritardi puniti

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di Fabrizio Cancelliere e Gabriele Ferlito

Il tardivo inoltro all’agenzia delle Entrate della dichiarazione di intento consegnata dall’esportatore abituale al proprio fornitore, affinché quest’ultimo effettui le operazioni di fornitura senza addebito dell’Iva, rappresenta una condotta ugualmente sanzionabile anche se commessa in epoca precedente alla modifica operata dall’articolo 2, comma 4, del Dl 16/2012 (norma che ha esteso il termine per la comunicazione all’amministrazione finanziaria delle dichiarazioni di intento). È quanto sostenuto dalla commissione tributaria regionale della Puglia con la sentenza 1921, sezione 7 (presidente Dima e relatore Di Carlo), che segna un punto a favore dell’amministrazione in una materia ancora oggetto di numerose controversie (si veda il Sole 24 Ore dello scorso 31 luglio).

La vicenda, relativa al regime previgente alle modifiche apportate dal Dlgs 175/2014 – che hanno posto in capo all’esportatore abituale l’obbligo di comunicare all’agenzia delle Entrate i dati delle lettere di intento emesse nei confronti dei propri fornitori – riguarda alcune forniture effettuate da una società nei confronti di un esportatore abituale. In particolare, la Guardia di finanza – Nucleo di polizia tributaria di Taranto -, con processo verbale di constatazione redatto il 26 ottobre 2010, contestava alla società di non avere comunicato tempestivamente all’ufficio i dati contenuti nelle lettere d’intento ricevute: l’invio era stato infatti perfezionato oltre il termine allora previsto, coincidente con il sedicesimo giorno del mese successivo al ricevimento della dichiarazione.

Su queste basi, l’ufficio delle Entrate – Direzione regionale della Puglia – contestava la violazione dell’articolo 7, comma 4-bis del Dlgs 471/1997, pro tempore vigente, irrogando una sanzione pari al 100% dell’Iva non addebitata in fattura.

La società impugna l’atto impositivo, lamentandone l’illegittimità in ragione delle intervenute modifiche legislative.

Dopo aver vinto in primo grado, la società perde dinanzi ai giudici di appello, che danno dunque ragione all’ufficio. In particolare, la Ctr riforma il precedente giudizio, in quanto fondato sull’errato presupposto che la modifica legislativa operata dall’articolo 2, comma 4, del Dl 16/2012 fosse da qualificare come nuova fattispecie punibile, anziché – come invece ritenuto dalla Ctr – come un mero differimento del termine per l’obbligo di invio delle dichiarazioni d’intento. In altri termini, la novella normativa non ha fatto venir meno il “fatto punibile”, introducendone uno nuovo, ma ha semplicemente modificato un aspetto procedurale della fattispecie già esistente, peraltro senza efficacia retroattiva.

Nel caso di specie, dunque, non è invocabile il principio di legalità o del favor rei, sancito dall’articolo 3 del Dlgs 472/1997, a maggior ragione se si considera che la tardività dell’invio si era già perfezionata in data antecedente alla modifica normativa e soprattutto era stata già contestata, nel processo verbale di constatazione, prima di tale data. Ne consegue che la sanzione irrogata dall’ufficio va confermata in ragione del tardivo adempimento.

Come osservato in apertura, sullo stesso tema, altra giurisprudenza di merito si era espressa recentemente a favore del contribuente, sostenendo che il tardivo invio fosse violazione meramente formale, dunque non sanzionabile (Ctr Lombardia con le sentenze 2965, 2966 e 2967 del 5 luglio scorso).

Ctr Puglia 1921/7/2017

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