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Liti fiscali, spazio ai documenti non esibiti durante la verifica della GdF

L’ordinanza 9784/2021 della Cassazione: inapplicabili le preclusioni probatorie per le richieste delle Fiamme gialle

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di Alessandro Borgoglio

La disciplina della sterilizzazione probatoria della documentazione non esibita dal contribuente, a fronte della specifica richiesta degli Uffici, è inapplicabile alla Guardia di finanza e, quindi, alle richieste rivolte dai militari nel corso delle attività ispettive e di verifica. Il contribuente può quindi esibire e far valere in contenzioso quella documentazione non prodotta alla GdF che l’ha richiesta nel corso della verifica. A queste conclusioni è giunta la Cassazione, con l'ordinanza 9784/2021.

Si tratta di una sentenza dagli effetti dirompenti, se si considera che la maggior parte delle verifiche fiscali presso la sede del contribuente è condotta dalla Guardia di Finanza, ma le norme - se complessivamente considerate - sembrano consentire anche un approdo ermeneutico differente e maggiormente espressivo di un'impostazione sistematica.

Servono richieste specifiche
L'articolo 32, comma 4, del Dpr 600/1973 stabilisce che le notizie e i dati non addotti e gli atti, i documenti, i libri ed i registri non esibiti o non trasmessi in risposta agli inviti dell'ufficio non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente, ai fini dell'accertamento in sede amministrativa e contenziosa; di ciò l'ufficio deve informare il contribuente contestualmente alla richiesta (tali disposizioni sono richiamate ai fini Iva dall'articolo 51, comma 5, del Dpr 633/1972 e ai fini dell'imposta di registro e ipocatastali dall'articolo 53-bis Dpr 131/1986).
Sono necessarie, quindi, due condizioni affinché i documenti richiesti dal Fisco e non esibiti dal contribuente diventino successivamente inutilizzabili: una specifica richiesta da parte dei funzionari preposti, non potendosi includere generiche richieste documentali quali “tutta la documentazione utile al controllo”, ovvero “ogni altro documento fiscale relativo al periodo d'imposta controllato” (cfr. Cassazione 7978/2014 e 1344/2010); e l'avvertenza nella richiesta formale scritta delle conseguenze in caso di inadempimento, cioè che il documento non esibito tempestivamente non potrà più essere preso in considerazione a favore del contribuente (cfr. Cassazione 10670/2018, 233/2017).
Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità, l'invito ex articolo 32 a fornire dati, notizie e chiarimenti assolve alla funzione di assicurare - in rispondenza ai canoni di lealtà, correttezza e collaborazione propri degli obblighi di solidarietà della materia tributaria - un dialogo preventivo tra fisco e contribuente per favorire la definizione delle reciproche posizioni, sì da evitare l'instaurazione del contenzioso giudiziario, rimanendo legittimamente sanzionata l'omessa o intempestiva risposta con la preclusione amministrativa e processuale di allegazione di dati e documenti non forniti nella sede precontenziosa. Tale inutilizzabilità consegue automaticamente all'inottemperanza all'invito, non è soggetta alla eccezione di parte e può essere rilevata d'ufficio in ogni stato e grado di giudizio. Il contribuente può conseguire una deroga all'inutilizzabilità soltanto qualora - come previsto dal comma 5 dell'articolo 32 - depositi in allegato all'atto introduttivo del giudizio di primo grado in sede contenziosa le notizie, i dati, i documenti, i libri e i registri, dichiarando comunque contestualmente di non aver potuto adempiere alle richieste degli uffici per causa a lui non imputabile (tra le tante, Cassazione 5734/2016).

Valgono solo gli inviti delle Entrate
Con la pronuncia odierna - Cassazione 9784/2021 - è stato stabilito che il principio sopra enunciato trova applicazione se la richiesta di notizie, dati e documentazione proviene dagli Uffici delle imposte e non, come pacificamente avvenuto nella fattispecie in esame, quando il tentativo di interlocuzione sia avvenuto su iniziativa della Guardia di Finanza nell'esercizio dei propri poteri investigativi previsti dall'articolo 33 del Dpr 600/1973. A favore di tale interpretazione milita la formulazione letterale dell'articolo 32, comma 4, dello stesso decreto, che menziona, appunto, soltanto gli Uffici delle Entrate. La disciplina della sanzione del contribuente per omesso riscontro alle richieste dell'Ufficio non viene invece contemplata nell'articolo 33 del Dpr 600/1973, che ha per oggetto l'esercizio dei poteri di indagine della Guardia di Finanza, né tale disposizione contiene un espresso richiamo all'articolo 32, comma 4, dello stesso Dpr.
Le conclusioni della Suprema corte richiedono però alcune considerazioni “di completamento”, perché altrimenti rischierebbero di essere fuorvianti. Innanzitutto, l'articolo 33 del Dpr 600/1973 non riguarda espressamente e soltanto i poteri di indagine della Guardia di Finanza, tant'è che l'incipit del comma 2 reca: «Gli uffici delle imposte hanno facoltà di disporre l'accesso di propri impiegati (…)»; è dal comma 3 in poi che l'articolo s'incentra sui poteri della Guardia di finanza e sul coordinamento tra questa e gli Uffici delle Entrate.
Al di là di questo aspetto formale (ma forse neppure troppo), è poi ben vero - come afferma la Cassazione - che l'articolo 33 non contiene un espresso richiamo all'articolo 32, comma 4, che reca la disciplina delle preclusioni probatorie sopra illustrata, ma è altrettanto innegabile che il comma 3 già citato dell'articolo 33 recita: «La Guardia di finanza coopera con gli uffici delle imposte per l'acquisizione e il reperimento degli elementi utili ai fini dell'accertamento (…) procedendo di propria iniziativa o su richiesta degli uffici secondo le norme e con le facoltà di cui all'art. 32»; insomma, un richiamo all'articolo 32 e alle sue norme da parte dell'articolo 33 è ben presente.

Disposizioni analoghe per la Guardia di Finanza
Dirimente infine - almeno a sommesso parere di chi scrive - è il comma 1 dello stesso articolo 33 che la Cassazione afferma avere per «oggetto l'esercizio (dei) poteri di indagine della Guardia di finanzia»: esso stabilisce, infatti, che «Per l'esecuzione di accessi, ispezioni e verifiche si applicano le disposizioni dell'art. 52 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633», ma il comma 5 di tale articolo 52, con un significato pressoché analogo a quello dell'articolo 32, comma 4, del Dpr 600/1973, stabilisce che «I libri, registri, scritture e documenti di cui è rifiutata l'esibizione non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente ai fini dell'accertamento in sede amministrativa o contenziosa. Per rifiuto d'esibizione si intendono anche la dichiarazione di non possedere i libri, registri, documenti e scritture e la sottrazione di essi alla ispezione».
In conclusione, anche a voler ritenere inapplicabili le preclusioni probatorie previste dall'articolo 32, comma 4, del Dpr 600/1973 alle richieste della Guardia di finanza rivolte al contribuente sottoposto a verifica fiscale - come fa, per la prima volta, a quanto consta, nella giurisprudenza di legittimità, la Cassazione 9784/2021 - è evidente che in tal caso sono invece applicabili le analoghe preclusioni probatorie previste dall'articolo 52, comma 5, del Dpr 633/1972 (che peraltro neppure stabilisce una deroga simile a quella dell'articolo 32, comma 5, del Dpr 600/1973 relativa alla presentazione in giudizio della documentazione non esibita per colpa non propria).

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