Imposte

Niente nota di variazione per la restituzione degli onorari in caso di riforma della sentenza

La risposta a interpello 387: le somme restituite al soggetto erogatore sono deducibili dal reddito complessivo o possono essere chieste a rimborso

di Alessandra Caputo

La restituzione degli onorari nel caso di riforma della sentenza che condannava il soccombente al pagamento delle spese al difensore non viene regolarizzata mediante emissione di una nota di variazione. Lo precisa la risposta 387 a un interpello pubblicato il 22 settembre dall'agenzia delle Entrate.

Il caso era il seguente: un contribuente veniva condannato, in primo grado, al pagamento delle spese di giudizio nei confronti del difensore della parte vittoriosa; quindi il soccombente provvedeva a liquidare i compensi nell'ammontare stabilito in sentenza, comprensivi di Iva e ritenuta d'acconto. La sentenza veniva confermata in secondo grado ma riformata dalla Cassazione che compensava le spese dell'intero processo.

Di conseguenza, il difensore, che doveva restituire le somme percepite ma che nel frattempo aveva adottato il regime forfetario, chiedeva come la restituzione di queste somme dovesse essere documentata ai fini dell'Iva.

Si ricorda che la “distrazione” consente al difensore della parte vittoriosa di ottenere il pagamento delle somme direttamente dalla parte soccombente. L'agenzia delle Entrate, con apposita circolare (n. 203/E-III-7-1260/1994), aveva precisato che il difensore distrattario è tenuto ad emettere il documento fiscale nei confronti del proprio cliente, con addebito dell'Iva e con la precisazione che l'obbligazione per la rivalsa nei rapporti tra cliente e difensore avviene con denaro fornito dal soccombente.

La Cassazione ha poi precisato che, nell'ipotesi di riforma della sentenza, la condanna alla restituzione degli onorari riscossi va emessa nei confronti del difensore e non della parte difesa. Ai fini Iva, l'agenzia delle Entrate precisa nella risposta che non sussistono i requisiti per poter applicare, al caso di specie, la disciplina delle note di variazione.

Infatti, le note di variazione di cui all'articolo 26, comma 2 del Dpr 633/1972 possono essere emesse solo se sussistono specifici requisiti e, in particolare, se vi sia una variazione del rapporto giuridico tra cedente e cessionario e se vi sia identità tra l'oggetto della fattura e l'oggetto della variazione. Nel caso in esame, l'operazione iniziale (vale a dire la prestazione fatturata dal difensore al cliente) non era venuta meno, né si era ridotta a seguito della riforma della sentenza, ma veniva solo prevista una diversa ripartizione degli oneri. Pertanto, l'emissione della nota di variazione ai sensi dell'articolo 26 non trovava giustificazione.

Il soccombente in primo grado ha quindi diritto alla restituzione di quanto indebitamente pagato e al contempo, il difensore deve attivarsi per riscuotere il dovuto dal proprio cliente.

Per quanto infine riguardava la restituzione della ritenuta, l'Agenzia ricorda che l'articolo 10, comma 1, lettera d-bis) del Tuir prevede che le somme restituite al soggetto erogatore sono deducibili dal reddito complessivo, in alternativa, il contribuente può chiedere l'ammontare a rimborso. Anche nel caso in esame pur essendo forfettario, il contribuente con altri redditi poteva compensare l'importo delle somme restituite.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©