Non è abusiva la scissione con successiva cessione delle partecipazioni
L’elemento principale da valutare per stabilire se si configura l’abuso del diritto è costituito dal risparmio fiscale indebito
Tra le diverse operazioni straordinarie la scissione in passato, in particolare in vigenza dell’articolo 37-bis del Dpr 600/73, è stata vista con un certo sospetto da parte dell’agenzia delle Entrate, in special modo se attinente patrimoni immobiliari o se effettuata in combinazione con altre operazioni concatenate tra loro.
L’Amministrazione finanziaria riteneva, in particolare, come elusive le scissioni non proporzionali o asimmetriche in quanto queste particolari modalità di scissione si sarebbero prestate ad un uso distorto consistente nella mera assegnazione dei beni ai soci e le società beneficiarie sarebbero diventate dei meri “contenitori” di attività o beni riconducibili a ciascun socio. La contestazione di elusività si fondava sul fatto che in questo modo la scissione perdeva la sua natura di strumento di riorganizzazione aziendale e riguardava, soprattutto, le ipotesi in cui alla scissione facesse seguito la cessione a terzi delle partecipazioni nella scissa o nella beneficiaria a maggior ragione quanto questa possedeva un singolo bene e non un’azienda. Appare opportuno rilevare che l’articolo 123-bis, comma 16, del vecchio Tuir prevedeva espressamente la natura elusiva delle scissioni non aventi per oggetto aziende e delle scissioni non proporzionali. Questa previsione è stata abrogata ancor prima della riforma del 2003 ad opera del Dlgs n. 358/1997, e tale significativa modifica normativa dimostra che per il Legislatore sono lecite tutte le scissioni, comprese quelle che non hanno ad oggetto un’azienda o complessi aziendali, ma singoli asset di natura produttiva, immobiliare o finanziaria, che siano o meno proporzionali.
Nel prosieguo del presente contributo ci concentreremo sulla scissione seguita dalla cessione di partecipazioni fornendo un excursus della posizione dell’Agenzia in merito all’operazione in discussione.
La precedente posizione
Nella vigenza dell’articolo 37-bis l’approccio antielusivo seguito dall’agenzia delle Entrate era essenzialmente basato sulla valutazione della mancanza di valide ragioni economiche a supporto dell’operazione, o serie di operazioni, posta in essere dal contribuente. Questa impostazione, definita da Assonime “monodimensionale”, non prendeva in considerazione l’eventuale vantaggio fiscale illecito che il contribuente si prefiggeva di conseguire. L’Agenzia si limitava a individuare l’operazione che appariva più naturale in termini economici per raggiungere l’obiettivo e sulla base di questo parametro valutava se l’operazione fosse effettivamente elusiva. Questo approccio, che si concentrava sull’operazione alternativa selezionata dall’Ufficio e sulla carenza delle valide ragioni economiche, portava come conseguenza la totale sottovalutazione della libertà del contribuente di scegliere tra varie operazioni possibili anche in ragione del differente carico fiscale.
Riguardo allo schema negoziale oggetto di commento, scissione e successiva cessione delle partecipazioni, l’Agenzia aveva preso posizione con la risoluzione n. 97 del 7 aprile 2009 (posizione poi confermata con la successiva risoluzione n. 256 del 2 ottobre 2009). L’Amministrazione finanziaria, in applicazione dei principi antielusione appena illustrati riteneva che l’operazione di scissione seguita dalla cessione delle partecipazioni fosse da considerare elusiva. Ciò in quanto la scissione (in quel caso parziale proporzionale) non era posta in essere con l’intento di riorganizzare il complesso aziendale attraverso la creazione di più sistemi in un’ottica di continuità aziendale ed imprenditoriale, ma costituiva solo una fase intermedia di un più complesso disegno finalizzato alla creazione di una o più società “contenitori”, destinate ad accogliere i rami operativi dell’azienda da far circolare sotto forma di partecipazioni al mero scopo di spostare la tassazione dai beni di primo grado (asset), normalmente più onerosa, ai beni di secondo grado (quote di partecipazione), soggetta al più mite regime del capital gain.
Il cambio di approccio
A seguito dell’introduzione, con il Dlgs 128 del 2015, dell’articolo 10-bis dello Statuto del contribuente l’approccio dell’agenzia delle Entrate è cambiato.
Innanzitutto, occorre precisare che, in forza dell’attuale norma anti abuso, affinché possa scattare una contestazione di abuso del diritto è necessario che l’Amministrazione finanziaria dimostri in primo luogo l’esistenza di un indebito vantaggio fiscale costituito da benefici realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario.
Solo in presenza di un indebito vantaggio fiscale la norma richiede anche l’assenza di sostanza economica dell’operazione posta in essere consistente in fatti, atti e contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali. Per completezza va segnalato che per l’Agenzia vi è assenza di sostanza economica e quindi abuso tutte le volte in cui per ottenere un determinato risultato giuridico-economico il contribuente pone in essere un numero superfluo di negozi giuridici.
Infine, in presenza sia di un vantaggio fiscale indebito che di assenza di sostanza economica deve essere dimostrato che il conseguimento di un vantaggio fiscale costituisce la caratteristica essenziale dell’operazione. Secondo la relazione illustrativa al Dlgs 128/2015 ciò si verifica se i vantaggi fiscali indebiti sono fondamentali rispetto a tutti gli altri fini perseguiti dal contribuente.
In mancanza di uno dei requisiti indicati l’operazione non può essere considerata abusiva. Nel caso in cui, invece, siano presenti congiuntamente tutti e tre gli elementi sopra menzionati il contribuente dovrà dimostrare, per evitare la contestazione di abusività, che gli atti compiuti sono sorretti da valide ragioni extrafiscali non marginali. Un ulteriore importante elemento di novità introdotto dall’articolo 10-bis riguarda l’aver previsto normativamente che il contribuente è libero di scegliere tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale quella più conveniente.
In considerazione del mutato quadro normativo in ambito di abuso del diritto l’Agenzia delle Entrate ha modificato il proprio orientamento riguardo all’operazione di scissione e successiva cessione di partecipazioni.
Con la risoluzione n. 97 del 25 luglio 2017 e la successiva risoluzione n. 98 del 26 luglio 2017 l’Amministrazione finanziaria ha considerato, a determinate condizioni, non abusivo lo schema della scissione e successiva cessione di partecipazioni della scissa o della beneficiaria.
In prima battuta l’agenzia delle Entrate ha riconosciuto che la circolazione diretta dell’azienda (asset deal) o la circolazione indiretta (share deal) sono da considerarsi come due modalità alternative poste sullo stesso piano e aventi pari dignità fiscale sebbene comportino criteri di imputazione del reddito imponibile, valori fiscali e carichi fiscali differenti.
L’Agenzia ha sostenuto che il contribuente può intraprendere diverse strade, tutte poste sullo stesso piano e aventi, quindi, pari dignità fiscale per raggiungere il medesimo obiettivo. Da ciò discende che non può imporsi ad un contribuente persona fisica interessata alla monetizzazione dell’azienda, di cui è titolare una società dallo stesso partecipata, di far circolare l’azienda stessa esclusivamente attraverso la sua cessione diretta da parte della società.
In considerazione di quanto detto risulta, quindi, acclarato che il vantaggio fiscale ottenuto attraverso la scissione e successiva cessione delle partecipazioni non può qualificarsi come indebito e di conseguenza l’operazione non può essere considerata abusiva.
A supporto della conclusione a cui giunge l’Amministrazione finanziaria, depone anche l’articolo 176, comma 3, che qualifica in maniera espressa come non elusiva l’operazione di conferimento d’azienda e successiva cessione delle partecipazioni della conferitaria. Seppure la disposizione sia inserita nell’articolo 176 che disciplina i regimi fiscali del conferente e del conferitario si ritiene che il medesimo principio possa avere una valenza di sistema applicabile a tutte le operazioni straordinarie ed in particolar modo trovi applicazione nel caso di scissione e successiva cessione di partecipazioni in quanto la situazione post scissione e post conferimento è la medesima.
L’Agenzia sempre con la risoluzione n. 97/2017 ha, però, precisato che per essere ritenuta lecita la scissione deve caratterizzarsi come un’operazione di riorganizzazione aziendale finalizzata all’effettiva continuazione dell’attività imprenditoriale da parte di ciascuna delle società partecipanti e non può essere finalizzata alla mera veicolazione di un singolo asset, soprattutto se immobiliare, effettuata attraverso la successiva cessione di partecipazioni in luogo della cessione dei beni di primo grado e quindi configurare un vantaggio fiscale indebito. In sostanza per l’Agenzia quando la scissione ha ad oggetto singoli asset immobiliari o partecipazioni e questi siano poi ceduti indirettamente a terzi attraverso la cessione della partecipazione nella società scissa o beneficiaria tale operazione sarebbe elusiva.
La non elusività dell’operazione di scissione e cessione di partecipazioni è stata confermata dalla risposta ad interpello n. 13 del 29 gennaio 2019 che ha ribadito il principio della pari dignità fiscale tra la cessione diretta e la cessione indiretta dell’azienda e non ha effettuato alcuna limitazione in relazione alle scissioni aventi ad oggetto singoli beni.
L’orientamento espresso con la risoluzione n. 97/2017 è stato confermato dai più recenti provvedimenti di prassi (risposta ad interpello 133/2022, risposta ad interpello 152/2022 e risposta a interpello 256/2022) con cui l’Agenzia ha confermato l’elusività di una scissione che rappresentasse solo la prima fase di un più complesso disegno unitario volto alla creazione di società “contenitore” (di immobili, partecipazioni, intangible, ecc.) e alla successiva cessione delle partecipazioni da parte dei soci persone fisiche, con l’esclusivo fine di spostare la tassazione dai beni di primo grado ai beni di secondo grado, ove suscettibile di generare un risparmio d’imposta.
Pur considerando con ovvio favore il mutato orientamento dell’Agenzia in merito all’operazione in commento che in vigenza dell’articolo 37-bis era ritenuta elusiva tout court, non può considerarsi esente da critiche la conclusione secondo cui la scissione di singoli asset preordinata alla successiva cessione delle partecipazioni sia da considerarsi un’operazione abusiva.
La scissione di singoli asset
L’Agenzia fonda la propria tesi sul presupposto che la scissione abbia una funzione esclusivamente riorganizzativa. Sul punto si rileva come non vi siano norme che stabiliscono che la scissione abbia solo e soltanto una funzione riorganizzativa finalizzata alla ripartizione di complessi aziendali e non anche divisoria di beni. In questo senso si ricorda che l’unica norma che vincolava la scissione ad aziende o complessi aziendali era il comma 16 dell’articolo 123-bis del vecchio Tuir, norma abrogata oramai da molti anni.
Inoltre, questa ricostruzione riporterebbe ad una concezione dell’elusività, nel caso di specie l’abuso dello strumento negoziale, propria dell’articolo 37-bis che mal si concilia con i principi stabiliti dall’articolo 10-bis in tema di abuso del diritto in cui è richiesto che il contribuente realizzi un vantaggio fiscale indebito.
Va rilevato anche che, la conclusione dell’Amministrazione finanziaria contrasta palesemente con quanto affermato nella stessa risoluzione n. 97/2017, nonché con le norme, in merito alla libertà di scelta da parte del contribuente, infatti, non vi è alcun principio che imponga la cessione diretta in luogo della cessione indiretta, pertanto, il contribuente è libero di scegliere la soluzione che preferisce.
In aggiunta è bene ribadire che la vendita diretta del singolo bene prima della cessione, che sarebbe la soluzione alternativa tipica secondo l’Agenzia, non può essere ritenuta assimilabile da un punto di vista giuridico ed economico alla scissione e successiva cessione di partecipazioni. Ciò in quanto la vendita di un bene ne trasferisce la proprietà mentre a seguito della cessione delle partecipazioni l’acquirente acquisisce solo la qualifica di socio, ma non la proprietà diretta del bene la cui titolarità resta in capo alla società.
Si evidenzia anche che sostenere l’elusività di un’operazione di scissione e cessione di partecipazione nel caso in cui sia coinvolto un singolo asset genera una disparità di trattamento rispetto ai casi in cui un contribuente sia già titolare di una società che può essere considerato mero “contenitore”. Infatti, se il titolare di una società “contenitore” di un singolo asset immobiliare vende le partecipazioni nella stessa, questa operazione non sarebbe considerata abusiva mentre, per il contribuente che ha effettuato preliminarmente la scissione, si configurerebbe un’ipotesi di abuso del diritto limitando di fatto la legittima libertà di scelta di alcuni contribuenti rispetto ad altri.
Infine, occorre rilevare che vi è piena simmetria tra la posizione fiscale del soggetto che cede le partecipazioni della società in cui è confluito il singolo asset e l’acquirente. Tale simmetria garantisce l’Amministrazione finanziaria da arbitraggi fiscali e salti d’imposta. Infatti:
• nel caso di cessione diretta del bene, a fronte di una maggiore tassazione in capo al venditore, l’acquirente iscrive il bene al costo di acquisto, facendo emergere il maggior valore pagato, beneficiando di maggiori ammortamenti e potendo, quindi, versare minori imposte;
• nel caso di cessione delle partecipazioni, il cedente beneficia di una tassazione ridotta (regime del capital gain), ma il bene mantiene il costo storico e l’acquirente non può recuperare fiscalmente il maggior valore pagato a fronte del capital gain realizzato dal cedente.
Tale principio di pari dignità fiscale tra le due modalità di circolazione dei complessi aziendali (cessione diretta e indiretta) risulta ormai pacificamente accettato e deve ritenersi valido anche in caso di scorporo di compendi immobiliari, finanziari o di singoli asset. Come sopra evidenziato, lo scorporo mediante scissione di beni non genera salti d’imposta, tanto meno possibilità di vantaggi fiscali indebiti:
• il bene di primo grado non fuoriesce dal regime d’impresa, ma si trasferisce in continuità di valori contabili e fiscali mediante trasferimento delle partecipazioni (bene di secondo grado) nella società a cui tale bene è attribuito;
• la plusvalenza latente, emergerà quando il bene sarà oggetto di un’effettiva operazione di trasferimento a terzi o di un’operazione che realizzi una fuoriuscita del patrimonio dalla società o dal regime dei beni d’impresa.
Le imposte indirette
Per quanto riguarda l’imposta di registro in passato l’agenzia delle Entrate nei casi di scissione avente ad oggetto un’azienda e successiva cessione di partecipazioni applicava l’imposta di registro in misura proporzionale e non in misura fissa come previsto per le cessioni di partecipazioni. Ciò in forza dell’articolo 20 del Tur in base al quale l’imposta è applicata secondo l’intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti.
Secondo la ricostruzione dell’Agenzia e di parte della giurisprudenza l’articolo 20 dava la possibilità di attribuire rilievo alla regolamentazione degli interessi effettivamente perseguiti dai contraenti, anche se mediante una pluralità di pattuizioni non contestuali, avendo valore preminente l’unitarietà dell’operazione economica. Questa lettura dell’articolo 20 aveva dato vita ad una lunga serie di contenziosi. A seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 158 del 21 luglio 2020 che ha chiarito che l’imposta di registro si applica in funzione della natura del singolo atto soggetto a registrazione un’eventuale rideterminazione dell’imposta di registro nel caso di operazioni di scissione e cessione di partecipazioni può avvenire solo in caso di contestazione di abuso del diritto.
Le prospettive
Con l’introduzione dell’articolo 10-bis sono cambiati i presupposti per considerare un’operazione come abusiva; mentre in passato l’elemento rilevante era la presenza o meno di valide ragioni economiche ora, invece, l’elemento principe da valutare per stabilire se si configura l’abuso del diritto è costituito dal risparmio fiscale indebito. In quest’ottica l’atteggiamento dell’agenzia delle Entrate nei confronti della scissione seguita dalla cessione delle partecipazioni nella scissa o nella beneficiaria è radicalmente cambiato passando da una posizione di totale chiusura (risoluzione n. 97/2009 e risoluzione 256/2009), quando era vigente l’articolo 37-bis, ad una posizione opposta (risoluzione n. 97/2017) almeno nel caso in cui i beni coinvolti nella scissione siano aziende o rami di azienda. Resta, purtroppo, una non condivisibile valutazione di elusività nel caso in cui la scissione abbia ad oggetto un singolo asset in particolare se immobiliare.
Questo articolo fa parte del Modulo24 Operazioni Straordinarie del Gruppo 24 Ore.
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