Controlli e liti

Non spetta nessun rimborso per le imposte sugli utili fittizi

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di Antonio Iorio

Non spetta alcun rimborso per le imposte versate sugli utili fittizi. A precisarlo è la Ctr Emilia Romagna con la sentenza numero 1315 depositata il 4 luglio 2019.

Una società presentava istanza di rimborso ritenendo di aver versato indebitamente maggiori imposte. Più precisamente, la contribuente, per far apparire una situazione reddituale più florida, esponeva in bilancio utili fittizi sui quali corrispondeva le relative imposte. Una volta fallita, la società chiedeva la restituzione delle imposte versate in eccesso perché corrisposte su utili inesistenti. L’Agenzia opponeva il diniego al rimborso e il provvedimento veniva impugnato dinanzi al giudice tributario. La Ctp respingeva il ricorso rilavando il comportamento doloso della società finalizzato all’indicazione di utili fittizi con la conseguenza che non ricorrevano i presupposti per il rimborso. La decisione veniva appellata lamentando, in estrema sintesi, un’errata interpretazione dei fatti da parte del collegio di primo grado.

La Ctr, condividendo le conclusioni del giudice di prime cure, ha precisato che la richiesta di rimborso non traeva origine da un errore, tanto meno dalla duplicazione di un versamento. La contribuente giustificava l’istanza per «inesistenza totale o parziale dell’obbligo di versamento». Secondo i giudici, tale inesistenza dell’obbligo determina un’ipotesi di indebito oggettivo ma riguarda, però, gli errori nella interpretazione della legge e quindi il versamento di somme non dovute in assenza di un obbligo tributario.

In sostanza la questione l’approfondimento riguardava la possibilità o meno di emendare il falso volutamente commesso.

Nel diritto tributario, rileva la Ctr, il contribuente che pone in essere condotte delittuose o comunque illecite risponde delle conseguenze del proprio operato ed è quindi tenuto al pagamento dei tributi anche se tale obbligo abbia come base imponibile una posta in realtà inesistente. Nella specie, la contribuente aveva registrato fatture di acquisto inesistenti di merci e relative vendite delle stesse con conseguente generazione di redditi fittizi poi tassati.

Secondo la Ctr l’Agenzia pur disconoscendo gli acquisti inesistenti, non ha alcun obbligo di escludere i redditi fittizi dalla tassazione nonostante si crei una duplicazione delle imposte dovute. Inoltre, il contribuente non poteva beneficiare della dichiarazione integrativa per emendare la precedente, poiché tale facoltà è riservata solo al soggetto caduto in errore in buona fede e non all’autore dell’illecito.

A tal fine, conclude la Ctr, i principi affermati dalle Sezioni unite della Cassazione sull’emendabilità della dichiarazione, non riguardano le ipotesi di ritrattabilità di manifestazioni di volontà espresse nella dichiarazione originaria. Peraltro, tale dichiarazione integrativa mai era stata presentata, poiché la richiesta derivava da un’istanza di rimborso. Da qui il, rigetto dell’appello.

Va detto che in base alla normativa introdotta nel 2012 sui costi da reato (successiva alla vicenda oggetto di richiesta di rimborso) non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica i componenti positivi direttamente afferenti a spese relative a beni non effettivamente scambiati, per cui, fermo restando le osservazioni dei giudici sulla emendabilità della dichiarazione, sotto un profilo sostanziale applicando tale successiva disposizione la società avrebbe avuto diritto alla detassazione dei ricavi fittizi.

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