Partecipazioni cedute, non basta lo «scarto»
La rettifica del corrispettivo della cessione di una partecipazione societaria può essere fondata sul principio dell’inerenza “quantitativa” ma non può essere motivata soltanto sulla base del rilievo che il prezzo si discosta dal valore di mercato. La Suprema corte ha sancito questo importante principio nella sentenza 23498/2016, in cui è stata affermata la valenza sistematica della norma di interpretazione autentica introdotta dal Dlgs 147/2015 per le cessioni di immobili e aziende.
La prassi
L’amministrazione finanziaria ha affermato, nella nota 185903/1999, che in sede di controllo delle cessioni di partecipazioni societarie va considerato che alla determinazione del prezzo di realizzo «possono aver concorso fattori sia di natura oggettiva (quali il valore dell’azienda, la redditività storica e attesa…) che soggettiva (realizzo per necessità in momenti e in condizioni non ottimali)».
Il comando generale della Guardia di finanza ha affermato, nella circolare 1/1998, che i verbalizzanti non possono «sindacare il corrispettivo praticato dalle parti in regime di libera contrattazione ma soltanto che il prezzo fatturato e contabilizzato sia quello effettivamente pagato dall’acquirente».
Anche il Comitato consultivo per l’applicazione delle norme antielusive aveva affermato, nel parere 6/2003, che «l’intendimento dei soci di cedere le proprie partecipazioni ad un prezzo pari al costo fiscalmente riconosciuto (nel caso di specie inferiore al valore corrente di mercato) di per sé non è sindacabile dall’Amministrazione finanziaria».
I giudici di legittimità
La Cassazione ha più volte affermato la legittimità della rettifica del corrispettivo delle compravendite di partecipazioni societarie qualora lo stesso diverga dal valore di mercato risultante da analoghe operazioni intervenute nello stesso periodo (sentenze 4901/2013, 3290 e 12622/2012, 20451/2011, 11659/2009, 15520/2002).
Nella sentenza 23498/2016 la Corte ha ribadito tale principio, ma ha precisato che – affinché la presunzione che il corrispettivo percepito sia difforme da quello dichiarato risulti grave, precisa e concordante – sono necessari ulteriori elementi idonei «a connotare come irragionevole la condotta».
Particolarmente rilevante è la precisazione che tali considerazioni «acquistano ancora maggiore pregnanza sul piano sistematico» per effetto dell’articolo 5, comma 3, del Dlgs 147/2015. Secondo tale norma, l’accertamento – ai fini delle imposte sui redditi e dell’Irap – di un maggior corrispettivo delle cessioni di immobili e di aziende non può fondarsi soltanto sul valore di mercato, a differenza di quanto avviene ai fini dell’imposta di registro. Tale norma non fa esplicito riferimento alle cessioni di partecipazioni societarie, ma dalla stessa è possibile evincere il principio, comune a tutte le tipologie di transazioni, dell’impossibilità di fondare l’accertamento esclusivamente sullo scostamento del corrispettivo dal valore di mercato del bene o servizio ceduto.