Contabilità

Penalizzati i titolari di società a base ristretta

di Stefano Cingolani e Agnese Menghi

L’imposta sostitutiva del 26% estesa ai dividendi da partecipazioni qualificate, ufficialmente introdotta per semplificare le modalità di tassazione, in realtà ha apportato modifiche in senso regressivo, penalizzando i detentori di partecipazioni di maggioranza con redditi modesti. Il tema si pone, ad esempio, per i microimprenditori, titolari di società a ristretta base partecipativa.

Le criticità

In ogni caso, al di là delle novità introdotte dalla legge di Bilancio 2018, permangono comunque una serie di criticità. I dividendi di fonte estera white list subiscono molto spesso una doppia imposizione, la ritenuta in uscita operata dal Paese estero e la sostitutiva italiana del 26% che, ove non intervenga un intermediario residente, si dovrebbe applicare addirittura sul dividendo al lordo della ritenuta estera e non al “netto frontiera”.

Sia per ciò che concerne la tassazione dei dividendi nazionali, sia per i dividendi esteri, sarebbe auspicabile introdurre, come norma di chiusura, la possibilità di scegliere, per opzione, la tassazione mediante attrazione parziale a Irpef in capo al socio, come avviene, ad esempio, per le persone fisiche che agiscono in veste di imprenditori individuali. In tal modo sarebbe possibile riconoscere, a determinate condizioni, il corretto credito a fronte delle imposte già versate. Verrebbero ripristinate modalità impositive in sintonia con i principi di capacità contributiva, eliminando le asimmetrie più evidenti.

Al contrario, attualmente, in diversi casi, appare più leggera la tassazione applicata ai dividendi black list.

Fondi ed Etf

Merita le opportune riflessioni anche la fiscalità dei fondi comuni di investimento e degli Etf, strumenti che rappresentano una fetta significativa del portafoglio degli italiani.

In tali fattispecie se il risultato dell’investimento è positivo si realizza, ai fini fiscali, un reddito di capitale, mentre una eventuale minusvalenza assume una veste differente, da comprendere tra i redditi diversi. Anche i costi e le commissioni possono solo incrementare le minusvalenze. Risulta pertanto impossibile compensare le minus con i proventi realizzati, anche se relativi ai medesimi asset.

Al contrario sugli Etc, strumenti che hanno per sottostante le materie prime, in forma fisica o mediante derivati, sia i profitti che le perdite confluiscono nei redditi diversi, rendendo possibile, in questo caso, compensare minus e plusvalenze. È possibile compensare le minus anche per i certificates, strumenti finanziari derivati che replicano, con o senza effetto leva, l’andamento dell’attività sottostante.

Di conseguenza, appaiono meno penalizzati gli strumenti con maggior carattere speculativo, è evidente come il quadro complessivo sia contraddittorio.

I titoli in default

Forti criticità presentano anche le modalità di emersione delle minusvalenze in relazione ai titoli caduti in default (si veda anche il numero di Aprile di N&T Mese, «Redditi finanziari: la legge di Bilancio non cancella le criticità»). Attualmente una visione fortemente restrittiva del Fisco, nonostante quanto disposto dall’articolo 68 del Tuir, impedirebbe la fruizione delle minus in caso di default dell’emittente, soprattutto nel caso di azioni.

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