Per l’edificabilità del terreno è sufficiente il piano generale
I
Ancorché la pronuncia, molto attesa da enti impositori e contribuenti considerando il rilevante contenzioso pendente presso le commissioni tributarie, abbia riguardato i riflessi fiscali dei nuovi strumenti urbanistici che diversi comuni dell’Emilia Romagna hanno adottato in ossequio alla l.r. 20/2000, i principi in essa contenuta avranno inevitabili effetti, con riguardo a qualsiasi tributo, anche nelle altre regioni ove sono stati abbandonati i tradizionali strumenti urbanisti in favore di una più moderna pianificazione del territorio.
Venendo al caso di specie, due contribuenti avevano impugnato cinque avvisi di accertamento Ici (per gli anni d’imposta dal 2004 al 2008) con il quale il comune pretendeva l’imposta per un terreno sulla base del valore di mercato anziché su quello catastale. I ricorrenti ritenevano infatti che il terreno dovesse essere considerato agricolo, anche ai fini Ici, in quanto il fatto che il nuovo piano strutturale comunale (Psc) avesse ricompreso il terreno in un ambito destinato a nuovi insediamenti residenziali sarebbe stato irrilevante fino all’adozione del piano operativo comunale (Poc).
Sia la commissione tributaria provinciale che quella regionale condividevano l’assunto dei contribuenti in base al rilievo che l’articolo 28 della l.r. 20/2000, definendo il Psc strumento di pianificazione urbanistica generale predisposto dal comune per delineare le scelte strategiche di assetto e sviluppo, non gli attribuisce alcuna potestà edificatoria, a differenza del Poc che regola invece la reale possibilità di trasformazione del territorio.
Di diverso avviso è stata invece la Cassazione. Secondo i giudici del Palazzaccio l’edificabilità di un terreno ai fini della determinazione del suo valore venale non può, una volta che essa è riconosciuta da uno strumento urbanistico generale, ritenersi inficiata dalla eventuale mancanza di un piano particolareggiato o attuativo. E ciò in ossequio all’indirizzo giurisprudenziale di legittimità incentrato sull’articolo 36, comma 2, del dl 223/2006, convertito dalla legge 248/2006, secondo il quale l’edificabilità di un’area ai fini fiscali deve essere desunta dalla qualificazione ad essa attribuita nel piano regolatore generale adottato dal comune, indipendentemente dall’approvazione da parte della regione e dall’adozione di strumenti urbanistici attuativi (Cassazione 21156/2016, 11182/2014 ed altre). Richiamando i principi già espressi dalle sezioni unite n. 25506/2006, la Corte ha pertanto ritenuto che i terreni collocati dal Psc in un ambito destinato a nuovi insediamenti residenziali debbano essere considerati edificabili, a nulla rilevando che la potestà edificatoria possa conseguire unicamente dall’inclusione del terreno nel Poc trattandosi, quest’ultimo, di uno strumento urbanistico che incide sul mero ius edificandi. Nonostante l’articolo 28 della l.r. 20/2000 sia stato modificato nel 2009 con l’introduzione dell’inciso che «il Psc non attribuisce in nessun caso potestà edificatoria alle aree né conferisce alle stesse una potenzialità edificatoria subordinata all’approvazione del Poc», dalla sentenza 2107/2017 è dato desumere che ai fini fiscali tale precisazione sia comunque irrilevante avendo solo riflessi di natura urbanistica.
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