Pignoramento presso terzi, l’infruttosità complessiva legittima la nota di variazione Iva
L’articolo 26, comma 2, del Dpr 633/72 consente l’emissione di una nota di variazione in diminuzione Iva, per mancato pagamento del corrispettivo, esclusivamente a fronte di una procedura concorsuale o esecutiva (individuale) rimasta infruttuosa. In linea generale non è pertanto possibile emettere note di variazione in diminuzione dell’Iva per mera antieconomicità dell’avvio della procedura esecutiva, essendo necessario dare prova di aver esperito tutte le azioni volte al recupero del proprio credito senza trovare soddisfacimento, nel senso che sia «stata accertata e documentata dagli organi della procedura (esecutiva) l’insussistenza di beni da assoggettare all’esecuzione» (circolare 77 del 17 aprile 2000). Con l’introduzione del recente comma 12 dell’articolo 26 del Dpr 633/72 sono state tipizzate alcune situazioni in base alle quali una procedura esecutiva individuale «si considera in ogni caso infruttuosa», tra cui rientra il pignoramento presso terzi, quando dal verbale di pignoramento redatto dall’ufficiale giudiziario risulti che presso il terzo pignorato non vi siano beni o crediti da pignorare.
Proprio con specifico riferimento al pignoramento presso terzi, Assonime (si legge nella circolare 2 del 29 gennaio 2019) ha presentato all’agenzia delle Entrate una richiesta di consulenza giuridica nella quale ha osservato che il requisito previsto dall’articolo 26 dovrebbe ritenersi sussistente anche nel pignoramento dei crediti del debitore verso terzi di cui all’articolo 543 del Codice di procedura civile, per lo meno nelle ipotesi in cui la dichiarazione del terzo – ad esempio la banca – contenga il riconoscimento di un rapporto in essere con il debitore e anche l’indisponibilità attuale di somme o, comunque, una disponibilità talmente esigua da far ritenere antieconomica la prosecuzione della procedura; ed invero, secondo Assonime, anche se la procedura in questi casi giunge a conclusione senza che intervenga un verbale dell’ufficiale giudiziario o un atto del giudice dell’esecuzione che attesti l’infruttuosità della procedura, ciononostante apparirebbe incontestabile che la procedura esecutiva individuale sia stata attivata e che la stessa abbia avuto un esito negativo.
L’agenzia delle Entrate ha tuttavia respinto l’interpretazione estensiva prospettata dall’Assonime, ritenendo che l’articolo 26 trova applicazione solo a condizione che l’infruttuosità della procedura sia acclarata da un organo super partes (come l’ufficiale giudiziario o il giudice dell’esecuzione) e non sia rimessa all’arbitrio del creditore pignorante (il quale, ad esempio, potrebbe trovare economicamente non conveniente procedere con il deposito degli atti previsti nei termini di cui all’articolo 543, comma 4, del Codice di procedura civile, facendo estinguere una procedura in tutto o in parte fruttuosa). Ebbene, l’impostazione dell’agenzia delle Entrate può ritenersi condivisibile, perché più rispondente alla ratio legis: laddove l’articolo 26, nel riferirsi al pignoramento presso terzi, richiede un verbale negativo dell’ufficiale giudiziario per la valida emissione di una nota di variazione Iva, intende chiaramente escludere la procedura agli articoli 543 del Codice di procedura civile quando il terzo pignorato sia una banca e riferirsi esclusivamente all’espropriazione mobiliare presso il debitore all’articolo 513, commi 3 e 4 del Codice di procedura civile.
Né la soluzione fornita dall’agenzia delle Entrate, ad avviso di chi scrive, si pone in contrasto con la risposta all’interpello 64 del 2018, con cui l’agenzia delle Entrate ha invece concesso al contribuente l’emissione di una valida nota di variazione Iva. In particolare, il caso esaminato riguardava un ente pubblico che, nell’impossibilità di vedere la controparte sottoposta a una procedura concorsuale per difetto dei requisiti dimensionali di fallibilità, al fine del recupero del proprio credito, si era rivolto all’Autorità giudiziaria, richiedendo l’emissione di un decreto ingiuntivo. L’ente pubblico, peraltro, si era avvalso dell’ausilio dell’Avvocatura dello Stato, la quale aveva richiesto alla Guardia di Finanza informazioni sulla situazione economico-patrimoniale e sull’attività della società debitrice, riscontrando una totale situazione di illiquidità finanziaria e di incapienza patrimoniale e rilevando l’assenza di beni immobili e mobili intestati al debitore.
Ciò posto, si deve ritenere che anche in questo caso, proprio la relazione negativa di un organo terzo super partes, qual è la Guardia di Finanza, ha indotto l’agenzia delle Entrate ad affermare - coerentemente con la propria costante interpretazione dell’articolo 26 - l’esistenza del presupposto per l’emissione di una valida nota di variazione Iva. Al contrario, tale garanzia di imparzialità verrebbe a mancare nel pignoramento presso terzi, quando il terzo pignorato sia una banca che rende dichiarazione negativa, in quanto, qualora il creditore decida di non iscrivere a ruolo il pignoramento per valutazioni soggettive di antieconomicità della procedura, non emerge oggettivamente erga omnes la circostanza che il creditore abbia battuto altre strade pure possibili per il soddisfacimento concreto del proprio credito o che il debitore non abbia altri beni aggredibili.
A ben vedere, in forza del principio comunitario di proporzionalità e del criterio di diligenza, invocati nella risposta ad interpello 64/2018, l’emissione della nota di variazione Iva dovrebbe ritenersi valida ogniqualvolta il creditore sia in grado di dimostrare in modo oggettivo l’inesistenza di beni mobili ed immobili aggredibili, risultando così che l’infruttuosità delle azioni di recupero astrattamente esperibili non sia rimessa alle valutazioni e determinazioni del creditore.