Prestiti garantiti coperti dalla «231»
La liquidità messa a disposizione delle imprese è comunque presidiata dalle sanzioni penali
La recessione, che è conseguenza dell’emergenza sanitaria ancora in atto, rischia di mettere in grave crisi il sistema dei controlli e, tra gli altri, quello previsto dal Dlgs 231/2001, sulla responsabilità da reato degli enti. La priorità, sancita con il decreto Liquidità (Dl 23/2020) è «assicurare la necessaria liquidità alle imprese con sede in Italia, colpite dall’epidemia Covid-19», grazie alla garanzia dello Stato sui finanziamenti erogati sotto qualsiasi forma in loro favore.
Affinché ciò avvenga rapidamente la parola d’ordine è “deburocratizzare”: obiettivo senz’altro da sottoscrivere. Il campo deve essere però sgombrato da un equivoco: invocare la riduzione/eliminazione della burocrazia “nociva” non dev’essere il mezzo per indebolire i controlli all’interno delle imprese.
Sia chiaro, nessuno intende difendere l’ipertrofia dei controlli societari, che, al pari dell’eccesso di burocrazia, è un freno all’economia, in ogni tempo, figurarsi in periodi come l’attuale in cui si registra un crollo del Pil. È provato che la sovrapposizione degli organismi di controllo genera non solamente intralcio alla gestione dell’impresa ma anche maggiori difficoltà nell’individuare l’eventuale responsabile del deficit di vigilanza, facendo magari prevalere la logica dello “scaricabarile”.
Perciò l’auspicata “deburocratizzazione” non può determinare anche l’indebolimento di quel nucleo, indefettibile, di controlli societari, la cui inefficacia finirebbe, peraltro, col ritorcersi proprio contro le imprese; si intende, in particolare, fare riferimento al caso in cui, a causa dell’inadeguatezza del modello organizzativo 231, il reato, commesso da un apicale o da un sottoposto, sia ascrivibile all’ente a titolo di responsabilità amministrativa da reato.
Le misure di accesso al credito, previste dal Dl 23/2020, da un lato, presuppongono che, al 31 dicembre 2019, l’impresa beneficiaria non rientrasse nella categoria delle imprese in difficoltà ai sensi dei Regolamenti (Ue) n. 651/2014, n. 702/2014, n. 1388/2014 e, alla data del 29 febbraio 2020, non risultasse presente tra le esposizioni deteriorate presso il sistema bancario; dall’altro, impongono che il finanziamento sia destinato a sostenere costi del personale, investimenti o capitale circolante impiegati in stabilimenti produttivi e attività d’impresa localizzate in Italia (articolo 1, Dl 23/2020).
Prescindendo dal pericolo di infiltrazioni mafiose (su cui si sono registrati, già, autorevoli interventi) e dal tema dei reati fallimentari (non pertinente con la materia 231), anche in assenza di una specifica fattispecie incriminatrice (da prevedersi magari in sede di conversione del Dl), la liquidità messa a disposizione delle imprese è comunque presidiata dalle sanzioni penali, rispettivamente, prescritte dall’articolo 640-bis (truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche) e dall’articolo 316-ter del Codice penale (indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato).
Proprio alla luce del Dl 23/2020, tali fattispecie meriterebbero qualche adeguamento e forse anche un inasprimento della pena. Ma non è questa la sede per approfondire. Qui preme, invece, evidenziare che i reati di cui agli articoli 640-bis e 316-ter sono entrambi richiamati dal Dlgs 231/2001 (articolo 24); perciò, se commessi da un apicale o da un sottoposto, possono attivare la responsabilità da reato della persona giuridica, laddove siano ravvisabili le condizioni di ascrizione oggettiva e soggettiva del fatto-reato all’ente.
Invero, entrambi questi illeciti sono reati presupposto inseriti fin dall’inizio nel Dlgs 231, sicché tutte le società, che hanno adottato i modelli organizzativi, hanno, da tempo, svolto il risk assessment. Non si tratta, quindi, di individuare nuove e ulteriori aree di rischio da mappare, ma, più semplicemente, di aggiornare il modello organizzativo rispetto ai nuovi potenziali rischi indotti dalla normativa sull’accesso alla liquidità.
In altri termini, non occorre investire ulteriori risorse economiche perché il sistema di prevenzione dal rischio-reato sia efficace. È sufficiente, tutt’al più, un aggiornamento delle procedure, ma è necessario che l’organismo di vigilanza (Odv) vigili attentamente sull’efficacia e, quindi, sull’osservanza delle stesse, specialmente con riferimento alla destinazione dei finanziamenti. Il Dl indica che la liquidità garantita dallo Stato dev’essere utilizzata per gli scopi indicati in precedenza. È quantomeno dubbio – ad esempio – che l’acquisto di una fuoriserie sia finanziabile.
L’Odv, per adempiere al suo compito può contare, oggi, non soltanto sui flussi informativi, di cui ha sempre usufruito, ma anche delle informazioni dei whistleblowers, che potrebbero rivelarsi molto utili in questa fase di crisi di liquidità, nella quale la distrazione dei finanziamenti potrebbe essere particolarmente censurata. Insomma, senza significativi aumenti di spesa si potrà sterilizzare l’aumentato rischio-reato di cui agli articoli 316-ter e 640-bis. Ma come sempre tutto dipenderà dall’indipendenza e dalla professionalità dei singoli componenti dell’Odv: l’esperienza ha dimostrato che non è certo la proliferazione degli organismi ma la qualità delle persone a determinare l’efficacia del controllo.
L’autore è Procuratore aggiunto della Repubblica di Milano
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di Eugenio della Valle