Pro-rata al test operazioni accessorie
La sentenza Mercedes-Benz (Corte Ue, causa C-378/15 , si veda Il Sole 24 Ore del 15 dicembre scorso) stimola una riflessione sul recepimento delle norme comunitarie in materia di diritto di detrazione. Le disposizioni nazionali che lo regolano infatti prevedono che, in presenza di attività imponibili ed esenti, l’ammontare dell’Iva detraibile debba essere calcolata in misura pari al rapporto tra operazioni imponibili e il totale delle operazioni. L’applicazione di tale metodo può generare evidenti effetti distorsivi e proprio tali distorsioni hanno suggerito alla Commissione tributaria regionale del Lazio di deferire il caso alla Corte di giustizia per comprendere se tale metodo sia compatibile con la Direttiva Iva.
I giudici del Lussemburgo, smentendo le conclusioni espresse dall’Avvocato generale, hanno ritenuto che la norma italiana sul pro-rata generale sia compatibile con la direttiva Iva in ragione della deroga prevista dall’articolo 168, comma 2, lettera d) della direttiva Iva.
La sentenza, a una attenta lettura, appare però più complessa di quanto possa sembrare ad una prima analisi.
Dopo avere infatti concluso che la norma nazionale è rispettosa del dato normativo comunitario, la Corte di giustizia nei paragrafi 46-49 della sentenza, rammenta che ai fini del calcolo del pro-rata non si devono considerare le operazioni accessorie che abbiano natura «incidentale» o «accessoria».
In particolare, la Corte di giustizia ribadisce che tra le attività accessorie devono essere annoverate quelle che non costituiscono «un prolungamento diretto, permanente e necessario dell’attività imponibile dell’impresa» e «non implichino un impiego significativo di beni e di servizi per i quali l’Iva è dovuta» a prescindere dal volume d’affari da esse generato.
Tale punto è cruciale e merita un ulteriore approfondimento. In particolare è necessario chiarire se le condizioni menzionate dalla Corte di giustizia al fine di considerare una attività come accessoria – e quindi espungere dal calcolo del pro-rata il volume d’affari esente – siano complementari o alternative tra loro.
Un esempio può aiutare a definire il problema: una holding industriale esercita una attività industriale (imponibile) e al contempo finanzia le proprie controllate generando un apprezzabile volume d’affari esente.
Gli interessi attivi derivanti dalla attività finanziaria esente devono entrano nel calcolo del pro-rata?
Una lettura comunitariamente orientata delle norme nazionali (cfr. paragrafo 77 della sentenza relativa alla causa C/7701, Edm) porta a ritenere che il volume d’affari esente non debba partecipare al calcolo del pro-rata matematico (generando quindi una indetraibilità dell’Iva assolta sui costi specificamente sostenuti per l'esercizio della attività esente) ogniqualvolta i costi gravati da Iva, sostenuti per esercitare l’attività esente, siano stati marginali rispetto alla totalità dei costi.
Tale conclusione prescinde dal fatto che: (i) l’attività esente (nell’esempio sopra riportato, l’attività finanziaria) possa idealmente costituire una attività tipica di una holding industriale; (ii) la norma italiana ammetta la separazione delle attività ai fini Iva.
Una diversa conclusione – oltre a rendere sostanzialmente casuale l’ammontare dell’Iva indetraibile e quindi incerti gli esiti della attività economica – legittimerebbe la violazione del principio di neutralità in quanto avrebbe l’effetto di rendere indetraibile una parte significativa dell’Iva sugli acquisti di beni e servizi acquistati per esercitare una attività imponibile.
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di Fabio Giordano, Comitato tecnico AssoSoftware