Controlli e liti

Ravvedimento operoso ritrattabile solo per errore manifesto e riconoscibile

Cassazione 11993/2023: valorizzata la natura negoziale dell’istituto, espressione di una volontà

immagine non disponibile

di Dario Deotto e Luigi Lovecchio

Il ravvedimento operoso ha natura negoziale e, in quanto manifestazione di volontà, è pertanto ritrattabile solo in caso di errore manifesto, facilmente riconoscibile. Questo il principio di diritto affermato nell’ordinanza n. 11993, depositata il 5 maggio 2023 dalla Corte di Cassazione.

La vicenda riguardava un contribuente che aveva effettuato un ravvedimento avente ad oggetto il ritardato pagamento di imposte.

Successivamente, lo stesso, assumendo che il ritardo nel versamento fosse giustificato da un mancato incasso di somme da parte di una pubblica amministrazione, inoltrava istanza di rimborso di soprattasse e interessi. Ciò, ritenendo di essere di fronte ad un comportamento incolpevole, in quanto tale non punibile.

La Cassazione ha affermato in proposito che il ravvedimento costituisce, in linea di principio, una scelta di carattere negoziale.

Ne deriva, che, essendo di fronte ad una manifestazione di volontà, essa è ritrattabile solo in caso di errore essenziale e riconoscibile. Tale qualificazione, aggiunge ancora la Corte, non dipende dalla natura della violazione, se sostanziale o formale, poiché la norma di cui all’articolo 13, del Dlgs. 472/1997, non contiene alcuna previsione che giustifichi tale distinzione. Per questo motivo, non rileva neppure la circostanza che l’adempimento che si va a regolarizzare abbia, in origine, natura di mera dichiarazione di scienza.

Quest’ultima affermazione merita tuttavia alcune precisazioni. A partire dalla circolare 192/E del 1998, è stata costantemente affermata dalla prassi la necessità di presentare la dichiarazione integrativa, quando le violazioni che vengono corrette attraverso il ravvedimento hanno trovato indicazione nella dichiarazione originaria (si pensi ad esempio all’infedeltà della dichiarazione).

Ora, è certo che la dichiarazione integrativa da ravvedimento operoso costituisce una sorta di species del più ampio genus delle dichiarazioni integrative di cui all’articolo 2, comma 8, del Dpr 322/1998 (incluse le dichiarazioni correttive a favore).

Tant’è che l’articolo 1, comma 640, della legge 190/2014 stabilisce che in presenza di dichiarazione integrativa anche da ravvedimento operoso si assiste allo slittamento dei termini decadenziali in relazione egli elementi oggetto di integrazione.

Ne deriva che la natura della dichiarazione integrativa da ravvedimento operoso è da ritenersi equivalente sia a quella della dichiarazione originaria che a quella della dichiarazione correttiva a favore.

Ma se così è, non può dubitarsi che in tutti i casi in cui è ammessa la rettifica della dichiarazione originaria si è di fronte ad una nuova dichiarazione di scienza.

La pronuncia della Corte, dunque, nonostante l’apparente generalità del principio di diritto ivi statuito, potrebbe essere stata influenzata dalla specificità del caso sottopostole. Nella vicenda in esame, infatti, si era di fronte ad una violazione che non era transitata dalla dichiarazione (ritardato pagamento di tributi).

Nel contempo, l’istanza di rimborso del contribuente ha riguardato solo sanzioni e interessi (l’imposta era comunque dovuta, infatti).

Sembra quindi possibile rilevare che la Cassazione abbia inteso affermare la non ripetibilità di sanzioni e interessi, questi sì frutto della scelta del contribuente di prevenire l’accertamento dell’Ufficio, non anche dell’imposta. Il tributo, infatti, laddove derivi da una indebita applicazione delle norme e non dall’opzione per un regime fiscale, è sempre sintomatico di una manifestazione di scienza.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©