Controlli e liti

Ricorso in busta chiusa, vale la data di spedizione

L’ordinanza 2490/2020 della Cassazione: va considerata la data di invio della raccomandata postale

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di Alessandro Borgoglio

Ai fini della tempestività del ricorso occorre considerare la data di invio della raccomandata postale, anche se la spedizione è avvenuta in busta chiusa anziché in piego. Lo ha stabilito la Cassazione con l’ordinanza 2490/2020.

In base all’articolo 20, comma 2, del Dlgs 546/1992, la spedizione del ricorso a mezzo posta deve essere fatta in plico raccomandato senza busta con avviso di ricevimento; in tal caso il ricorso s’intende proposto al momento della spedizione nelle forme sopra indicate.
Il successivo articolo 22, sulla costituzione in giudizio del ricorrente, stabilisce, al comma 3, che in caso di consegna o spedizione a mezzo di servizio postale la conformità dell’atto depositato a quello consegnato o spedito è attestata conforme dallo stesso ricorrente; se l’atto depositato nella segreteria della commissione non è conforme a quello consegnato o spedito alla parte nei cui confronti il ricorso è proposto, il ricorso è inammissibile.

Con la pronuncia odierna è stato ribadito l’orientamento di legittimità, per cui la regola secondo la quale la notificazione a mezzo posta si perfeziona, per il notificante, alla data di spedizione dell’atto, anziché a quella della sua ricezione da parte del destinatario, trova applicazione anche nell’ipotesi in cui la spedizione avvenga in busta anziché in piego, come previsto dal suddetto articolo 20: poiché, infatti, la prescrizione relativa all’invio in piego è volta esclusivamente a conferire certezza in ordine all’individuazione dell’atto notificato, ove nessuna contestazione sia sollevata dal destinatario circa l’effettiva corrispondenza tra l’atto contenuto nella busta e l’originale depositato, non vi è ragione di discostarsi dalla predetta regola, che costituisce espressione di un principio generale applicabile anche al processo tributario (Cassazione 9820/2016, 15309/2014).

Il tutto, come già anticipato, a condizione che non vi sia contestazione sul contenuto della busta chiusa: infatti, nel caso di notifica di un atto mediante l’invio diretto di una busta chiusa racco-mandata postale, è onere del mittente il plico raccomandato fornire la dimostrazione del suo esatto contenuto, allorché risulti solo la cartolina di ricevimento e il destinatario contesti il contenuto della busta medesima; tale principio non soffre eccezioni in ragione di qualità soggettive del mittente, come nel caso dell’Ufficio o dell’agente della riscossione, tenuto anzi al rispetto dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede col contribuente (Cassazione 2625/2015).

Diversamente, in un’altra occasione, la Cassazione aveva stabilito che la prova dell’arrivo della raccomandata fa presumere l’invio e la conoscenza dell’atto, mentre l’onere di dimostrare eventualmente che il plico non contiene l’atto spetta non già al mittente, bensì al destinatario (Cassazione 5397/2016).

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