Rimborsi più «lunghi» per l’Iva non dovuta dopo l’accertamento
L’ articolo 8 della legge europea 2017 introduce nel Dpr 633/1972 il nuovo articolo 30-ter, contenente una disposizione specifica per il rimborso dell’Iva non dovuta, che opererà nelle situazioni in cui il fornitore o il prestatore abbia erroneamente applicato il tributo in seguito ad un’errata qualificazione dell’operazione. Si tratta, ad esempio, del caso in cui sia stata applicata un’aliquota più elevata di quella effettiva, oppure l’Iva sia stata indebitamente esposta in fattura relativamente a un’operazione esente, non imponibile o esclusa.
La norma, prendendo le mosse dall’apertura di una procedura di infrazione da parte della Commissione europea (caso EU Pilot 9164/17/TAXU), inserisce nel Dpr 663/72 una disposizione sul rimborso che ricalca quella già prevista nell’ambito del contenzioso dall’articolo 21, comma 2, del Dlgs 546/92 (disciplina del rimborso «anomalo»), già applicabile all’Iva.
Secondo la disciplina attuale, in presenza di un’operazione indebitamente assoggettata ad Iva, il cedente o prestatore ha due anni di tempo, dalla data di versamento, per attivare la richiesta di rimborso nei confronti dell’amministrazione finanziaria. Il cessionario o committente, invece, può procedere nel termine ordinario di dieci anni alla richiesta di restituzione dell’Iva erroneamente addebitata in rivalsa dal fornitore (articoli 2033 e 2496 del Codice civile). In sede di accertamento, chiaramente, l’amministrazione finanziaria contesterà il diritto alla detrazione con riferimento all’imposta erroneamente addebitata.
La Corte di giustizia Ue, in alcune pronunce, ha affermato che l’esistenza di un termine più lungo per il cessionario o committente al fine di espletare l’azione di restituzione nei confronti del cedente o prestatore non è incompatibile con il diritto comunitario (cfr. sentenza 15 dicembre 2011, causa C-427/10). La tutela dei principi di effettività e di neutralità , tuttavia, impone che la normativa non precluda al fornitore il diritto di ottenere il rimborso dell’Iva in seguito alla restituzione effettuata nei confronti del cliente.
In conformità a tale giudizio, la Cassazione (cfr. sentenza n. 12666 del 20 luglio 2012) ha stabilito che il diritto del fornitore al rimborso dell’Iva può sussistere anche decorsi due anni dal pagamento ma esclusivamente con riferimento all’imposta non dovuta che il fornitore ha dovuto rimborsare al cliente in forza di un provvedimento coattivo emesso in suo favore.
Sulla base di tale argomentazione, la prassi amministrativa tende a negare il rimborso dell’Iva non dovuta, se richiesta dopo il termine di due anni, in tutte le situazioni in cui il rimborso al cliente sia avvenuto spontaneamente e non a seguito di una sentenza.
Nella richiamata procedura d’infrazione la Commissione europea ha evidenziato la necessità di modificare la disciplina interna in quanto ritenuta non in linea con la legislazione comunitaria e, più in particolare, con i principi di effettività e neutralità in tutti i casi in cui l’amministrazione finanziaria sia consapevole dell’indebita applicazione dell’Iva a seguito di accertamento eseguito in capo al fornitore o al cliente.
Nel recepire tali indicazioni, il nuovo articolo 30-ter del Dpr 633/72 specifica che, nel caso di applicazione di un’imposta non dovuta, accertata in via definitiva dall’amministrazione finanziaria, la domanda di restituzione potrà essere presentata entro due anni dalla data di avvenuta restituzione al cliente dell’importo pagato a titolo di rivalsa.
Al di fuori di tale ipotesi, la norma stabilisce che la domanda di restituzione dovrà essere presentata entro il termine di due anni dal versamento della medesima ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione. La stessa norma esclude l’applicabilità dell’istituto del rimborso qualora il versamento del tributo sia avvenuto in un contesto di frode fiscale.
Sotto l’aspetto temporale è ragionevole ipotizzare che la richiesta di rimborso venga presentata solo dopo che sia già decorso il termine annuale per la variazione in diminuzione ai sensi dell’articolo 26, comma 3, Dpr 633/72, pur essendo possibile che il contribuente decida di presentare tale richiesta anche in pendenza del termine per l’emissione della nota di variazione. Ciò trova conferma espressa nella giurisprudenza, che ha chiarito come la mancata emissione della nota di variazione «comporta il venir meno solo del diritto a recuperare il credito mediante detrazione, e non preclude al contribuente l’esercizio dell’azione di restituzione dell’imposta, presentando istanza di rimborso» (Cassazione 21 aprile 2006, n. 9437).