Imposte

Risparmio, la fiduciaria interposta come il trustee

Lo afferma l’agenzia delle Entrate nella risposta all’interpello 111/E/2020

IMAGOECONOMICA

di Marco Piazza

L’interpello 111/E del 2020, anche se riferito a un caso particolare (quello del trust revocabile e quindi fiscalmente interposto) ha certamente, per gli argomenti svolti, una portata molto più ampia.

La risposta - commentata da Angelo Busani sul Sole 24 Ore del 22 aprile - afferma, correttamente, che le opzioni per il regime del risparmio amministrato e del risparmio gestito (previste, rispettivamente, dagli articoli 6 e 7 del decreto legislativo 461 del 1997), esercitate dal trustee (ovvero dalla fiduciaria) per conto del trust, esplicano la loro validità nei confronti del disponente.

È quindi evidente che anche le opzioni esercitate da altri interposti (in primo luogo, le fiduciarie) producono gli stessi effetti.

Ciò comporta che l’intermediario presso cui viene esercitata l’opzione, da parte dell’interposto, per conto dell’interponente, assolve gli obblighi fiscali di sostituto o responsabile d’imposta applicando il regime proprio dell’interponente.

Questa prassi è già seguita da alcune fiduciarie, che in proposito si sono avvalse di una risalente comunicazione di Assofiduciaria (COM/88/1998), nonché dell’avviso espresso dall’Abi nella circolare TR/4301 del 1998, ma per quanto risulta non ha mai avuto un avallo ufficiale dell’amministrazione finanziaria.

La portata pratica di questo chiarimento è notevole in quanto oltre a consentire, ove opportuno, uno scarico degli adempimenti (e delle responsabilità) della fiduciaria sull’intermediario presso il quale sono depositate le attività o sul gestore, consente di attenuare l’impatto sulle fiduciarie dell’oneroso regime degli acconti di imposta sostitutiva sul risparmio amministrato.

Con l’occasione, l’Agenzia ribadisce l’orientamento secondo cui i redditi di capitale di fonte estera percepiti direttamente dal contribuente da indicare nel quadro RM della dichiarazione dei redditi e assoggettati, a cura del dichiarante, a imposta sostitutiva (con le stesse aliquote delle ritenute che sarebbero state applicata dall’intermediario in caso di percezione per il suo tramite):

- devono essere tassati nel loro ammontare lordo senza, quindi, diritto a dedurre dall’imponibile le imposte pagate all’estero; nel caso dei dividendi, quindi, non possono beneficiare del regime cosiddetto “netto frontiera”, previsto per quelli percepiti per il tramite di intermediari residenti;

- non danno diritto al credito per le imposte pagate all’estero.

Questa interpretazione (che effettivamente aderisce alla portata letterale della norma) confligge con le istruzioni al quadro RM nelle quali, da quest’anno, è comparsa, a sorpresa, una nuova casella 5 in cui devono essere indicate le imposte pagate all’estero, con l’effetto, secondo le istruzioni, che l’imposta sostitutiva dovuta in Italia deve essere essere indicata al netto di tali ritenute.

La novità, poco pubblicizzata, sembrava risolvere il problema della discriminazione dei contribuenti che non si avvalgono di intermediari per incassare dividendi (tassati sul “lordo frontiera”) rispetto a coloro che, invece, se ne avvalgono (tassati sul “netto frontiera”).

La nuova modulistica, a dire il vero, ribalta la discriminazione. Ora, stando alle istruzioni, sarebbero avvantaggiati i contribuenti che non incassano i dividendi esteri attraverso gli intermediari perché possono detrarre la ritenuta estera dalle imposte sostitutive, anziché dedurla dall’imponibile. Inoltre, sempre stando alle istruzioni, il diritto allo scomputo potrebbe riguardare anche i e proventi di fondi comuni europei soggetti a vigilanza.

Ora che si è creato un conflitto interpretativo addirittura all’interno della stessa amministrazione finanziaria sembrano maturi i tempi perché la questione sia affrontata , in modo completo e coordinato, dal legislatore.

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