Ritenute appalti, senza Durf rischio blocco dei pagamenti
Molte criticità si prospettano per chi non aveva un certificato di regolarità fiscale prima della crisi
La proroga, invocata da più parti già nei primi giorni dell’emergenza, non c’è stata. Probabilmente a causa delle coperture: spostare il meccanismo di verifica sulle ritenute negli appalti al 2021 sarebbe costato poco meno di mezzo miliardo di euro. Ci sono stati, invece, singoli interventi di rammendo, partiti con il Cura Italia (Dl 18/2020), passati dalla circolare 8/E delle Entrate e approdati all’ultimo Dl 23/2020.
Il risultato concreto è che il sistema di controlli sui versamenti degli appaltatori da parte dei committenti, disegnato dall’articolo 4 del decreto fiscale (Dl 124/2019), nell’ultimo mese si è ulteriormente complicato. Oggi gli operatori hanno, così, tra le mani una scacchiera di casi e scadenze che rischia di mandare ulteriormente fuori giri la catena dei pagamenti, già molto provata.
Lo scudo del Durf
Il caso più semplice è quello delle imprese esecutrici che avevano già tra le mani un Durf - il documento unico di regolarità fiscale che consente di dribblare le verifiche - emesso dall’agenzia delle Entrate e trasmesso ai propri committenti, prima delle restrizioni di queste settimane.
Queste possono stare tranquille fino a giugno (così come i loro committenti), perché il certificato ha validità per quattro mesi dalla data del rilascio. I primi certificati di affidabilità fiscale sono stati rilasciati nella seconda settimana di febbraio, ma il decreto liquidità estende comunque la loro validità fino al 30 giugno, coprendo così per tutti le ritenute operate a maggio. A luglio (si veda il pezzo in basso) le cose potrebbero, però, complicarsi.
Lo stop alle ritenute
Più problemi per le imprese che, invece, non hanno un certificato tra le mani. Queste, per effetto del Dl Cura Italia, potrebbero avere beneficiato per il mese di marzo (ritenute di febbraio) della sospensione dei versamenti per via dell’attività svolta, per via della sede in uno degli undici Comuni della prima zona rossa o per via dell’ammontare dei ricavi 2019 non superiore ai 2 milioni di euro.
Per i mesi successivi (aprile e maggio) questi criteri cambiano: la sospensione dai versamenti sarà legata al decremento del fatturato del mese precedente, tra l’altro con un’incidenza differente a seconda che i ricavi 2019 siano sopra o sotto i 50 milioni. Mentre c’è la sospensione secca per le partite Iva aperte dopo il 31 marzo 2019. Per non parlare dei soggetti che potrebbero attendere il prossimo 16 aprile per porre rimedio, senza sanzioni né interessi, alle omissioni di marzo (articolo 23 del decreto liquidità). Il risultato di questi incroci è che alcune imprese potrebbero avere beneficiato del blocco a marzo, ma non ad aprile e maggio, o viceversa.
Scambio di informazioni
Diventa, allora, vitale per il committente conoscere nuove informazioni sui suoi appaltatori e subappaltatori, come la sede di attività o il fatturato: dovrà, cioè, conoscere la presenza di eventuali motivi di sospensione dei versamenti. Ed è interesse delle imprese stesse informarlo: al meccanismo di verifiche sulle ritenute, infatti, è collegato il possibile blocco dei pagamenti dei corrispettivi dovuti. Se, però, rientrano in una delle ipotesi di congelamento dei versamenti delle ritenute previste finora, le imprese sono protette.
Niente certificato
La situazione peggiore, allora, è sicuramente quella delle imprese appaltatrici che siano prive del Durf e che, allo stesso tempo, non rientrino in nessuno dei casi di sospensione previsti dalla legge. Per loro e per i loro committenti, il meccanismo di verifiche è pienamente attivo. Ed è difficile pensare all’ottenimento del Durf in questi giorni, viste le difficoltà che stanno incontrando gli uffici locali dell’agenzia delle Entrate.
Concretamente, per queste imprese i cinque giorni lavorativi, a partire dal 16 marzo, previsti dal decreto fiscale per inviare ai committenti copia delle deleghe di versamento delle ritenute relative a febbraio, sono già scaduti. Per le ritenute da versare ad aprile (quelle di marzo) il termine scadrà inesorabilmente il 21 aprile prossimo. E così via, mese dopo mese. Con lo spettro, sempre più concreto dopo il 30 aprile, di vedersi bloccare i pagamenti in caso di ritardo nelle comunicazioni.