Controlli e liti

Salva la Asd che fa prelievi dopo la sponsorizzazione

Secondo la Ctp Milano 2195/5/2020 non scatta la prova per presunzioni

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di Alessandro Borgoglio

È nullo l’avviso di accertamento con il quale il Fisco recupera a tassazione le somme corrisposte da una Srl a una associazione sportiva dilettantistica (Asd) a titolo di sponsorizzazione, anche se sistematicamente nei giorni successivi all’accredito dei bonifici di pagamento dello sponsor l’associazione ha prelevato per contanti, assegni e ricariche di carte prepagate circa l’80% dell’importo bonificato. Lo ha stabilito la Ctp di Milano, con la sentenza 2195/5/2020 (presidente Nocerino, relatore Chiametti).

In questi casi per lo sponsor le somme corrisposte sono deducibili ai fini delle imposte sul reddito e detraibili ai fini Iva, trattandosi, appunto, di spese di pubblicità di cui all’articolo 108 del Tuir. In parallelo, per l’Asd che opera in regime agevolato di cui alla legge 398/1991, l’imponibile fatturato concorre ai ricavi commerciali soltanto per il 3% dell’importo e l’Iva è dovuta forfettariamente nella misura del 50% di quella fatturata.

Questo particolare regime agevolato può “attirare” sponsorizzazioni con finalità elusive e, quindi, una volta effettuato l’accredito formalmente regolare (di solito con bonifico bancario per conferire maggiore “credibilità” all’operazione) sui conti correnti della Asd, il denaro trasferito viene poi retrocesso in contanti o con altri sistemi di pagamento allo stesso soggetto erogante, decurtato della commissione - per così dire - trattenuta dalla Asd, la quale poi pone in essere una qualche forma di attività pubblicitaria per giustificare il pagamento ricevuto.

È ciò che hanno contestato le Entrate nel caso oggetto della sentenza in esame, laddove, per dimostrare - anche se in via presuntiva - che tale retrocessione di denaro era avvenuta, avevano provato in giudizio che dagli estratti conto della Asd emergevano i bonifici di pagamento dello sponsor, ma anche i prelievi che sistematicamente venivano fatti per contanti e assegni nei giorni successivi.

Il collegio milanese ha annullato l'accertamento e stabilendo che il Fisco, per sostenere la pretesa impositiva, avrebbe dovuto provare con «documentazione inappuntabile, inconfutabile» l'asserita retrocessione di denaro, esibendo anche le copie degli assegni, mentre l'ufficio non aveva esibito alcunché.

In sostanza, la Ctp addossa l'onere “di esibizione documentale” al Fisco, ed è questo senz’altro l’aspetto peculiare della pronuncia. Va ricordato, infatti, che secondo la giurisprudenza di legittimità in materia di sovrafatturazione e di fatture per operazioni inesistenti - come riportato dagli stessi giudici di merito - «l’onere della prova spetta all’ufficio, il quale può assolvere tale compito anche tramite presunzioni, purché precise e concordanti» (Cassazione 10414/2011, 6943/2011). Quindi, non necessariamente una prova con «documentazione inappuntabile, inconfutabile», ma anche presuntiva. Nel caso di specie, però, tale non è stata ritenuta la prossimità temporale di bonifici in accredito e successivi prelievi in contanti addotta dall’ufficio (senza “scomodare” la questione delle operazioni inesistenti). Ricordiamo infine che l’articolo 39, comma 1, lettera d), ultimo periodo, del Dpr 600/1973 stabilisce che l’esistenza di attività non dichiarate o la inesistenza di passività dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti (analogamente, per l’Iva: articolo 54, comma 2, ultimo periodo, del Dpr 633/1972).

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