Controlli e liti

Sanzioni sui notai alla Consulta

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di Patrizia Maciocchi

Dubbi di costituzionalità sulla norma della legge notarile che prevede, in automatico, la destituzione del professionista in caso di recidiva reiterata entro i dieci anni, a prescindere dalla gravità dell’ultima violazione. La Cassazione (ordinanza interlocutoria 27099/17) ha trasmesso gli atti alla Consulta perché valuti la legittimità dell’articolo 147 della legge notarile attualmente in vigore. La norma “punisce” chi lede il decoro della classe notarile, con la sua condotta pubblica e privata; viola la deontologia o fa concorrenza illecita ai colleghi con onorari ridotti, pubblicità non consentite o servendosi di procacciatori di clienti.

La pene previste sono la censura o la sospensione per chi trasgredisce le prime due volte , ma alla terza “ricaduta”, entro i 10 anni dalla prima, sempre per la violazione della stessa norma, scatta automaticamente la destituzione. Per il notaio non c’è infatti, la possibilità di invocare l’applicazione delle attenuanti, previste dall’articolo 144 della stessa legge, che consentono, nel caso in cui il professionista si sia adoperato per rimediare il danno , di evitare la sanzione più grave, compresa la destituzione sostituita dalla sospensione. In caso di recidiva reiterata non viene neppure valutata la gravità della condotta contestata, impedendo così al giudice della disciplina di graduare la sanzione, come sarebbe opportuno nel caso di una norma come l’articolo 147 che, come illecito disciplinare a forma libera, può riguardare una vasta e imprecisata gamma di condotte diverse tra loro per gravità.

Un «automatismo sanzionatorio» che contrasta, con il principio di uguaglianza (articolo 3 della Costituzione) perché assimila situazioni differenti per disvalore, violando anche la ragionevolezza nel momento in cui impedisce al giudice di calibrare la “punizione”, con un alto rischio di applicare la destituzione in casi in cui tale sanzione sia eccesiva. Aspetto che entra in collisione anche con l’articolo 24 della Carta sul diritto di agire in giudizio, perché nega all’incolpato la possibilità di chiedere al giudice di valutare il suo comportamento.

Corte di cassazione – Ordinanza interlocutoria 27099/2017

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