Controlli e liti

Società di comodo, così la Cassazione valuta l’effettivo esercizio dell’attività

La Corte comincia a rivedere i criteri con cui vagliare le «non operative». Le pronunce sono d’aiuto a chi non supera il doppio test su ricavi e perdite 2021

La “triplice presunzione” sottostante alla disciplina delle società non operative (articolo 30, legge 724/1994) può essere contrastata dal contribuente dimostrando (alternativamente o congiuntamente):
O
l’insussistenza degli elementi patrimoniali valorizzati dall’amministrazione finanziaria ai fini del test di operatività;
O
la sussistenza di un’effettiva attività imprenditoriale;
O
l’esistenza di una situazione oggettiva e non imputabile all’interessato, che giustifichi la scarsità dei ricavi e del reddito di periodo.
Questi concetti, rilevabili dall’ordinanza 26219/2021 della Cassazione (e ribaditi dall’ordinanza 16472/22 depositata lo scorso 23 maggio) devono essere tenuti ben presenti dalle società che si apprestano a determinare il saldo delle imposte sui redditi relativo al 2021 e a prendere le decisioni rilevanti sulla dichiarazione dei redditi da presentare entro il prossimo novembre, compresa l’eventuale istanza di interpello.
Viste le difficoltà del 2021, si presume che un maggior numero di società non superi il doppio test imposto dalla disciplina delle cosiddette “società di comodo”, basato:
1
sui ricavi realizzati, confrontato con un livello di ricavi parametrici determinato basandosi su specifiche attività patrimoniali individuate dal legislatore;
2
sulle perdite fiscali dichiarate nei cinque periodi d’imposta consecutivi anteriori (commi 36-decies e 36-undecies, articolo 2, Dl 138/2011).

Le bussole della Corte

Oltre alla valutazione degli effetti della pandemia come causa di disapplicazione automatica (si veda l’altro articolo), l’attenzione degli operatori si rivolge ai principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, che possono costituire altrettante “bussole” per le decisioni da assumere nelle diverse situazioni (si veda la scheda a fine articolo). Tra gli orientamenti, spicca per importanza quello sopra riportato, che ha il pregio di “saldarsi” con posizioni da tempo raggiunte dalla dottrina più attenta, riportando alla luce il vero (e indiscutibile) obiettivo delle disposizioni in esame: combattere il fenomeno dell’abuso dell’autonomia patrimoniale (più o meno perfetta) dello schermo societario adottato, convincendo i contribuenti a eliminare le strutture artificiosamente create come “filtro” tra sé e i beni posseduti.

In questo contesto, come ben argomentato nel «Principio di interpretazione n. 2» a cura del Comitato tecnico scientifico di “Modulo 24 Accertamento e riscossione”, risultano errati gli accertamenti che si basano sulla mera applicazione dei parametri normativi senza curarsi della (fondamentale) considerazione circa la sussistenza o meno del concreto svolgimento (per quanto non redditizio) di un’attività d’impresa da parte del soggetto verificato. L’esistenza di strutture e dipendenti che hanno operato non per il puro soddisfacimento delle esigenze personali dei soci ma per il mercato (anche se in misura poco profittevole per vari motivi) allontana la società da quella “entità senza impresa”, quel “guscio vuoto” (definito anche “società di mero godimento”), che rappresenta l’obiettivo della disciplina in esame: la Cassazione comincia a utilizzare anche questo principio come metro di giudizio. Senza, però, dimenticare che anche una società di valorizzazione immobiliare o una holding pura possono svolgere attività d’impresa.

Proposte Ue e disciplina attuale

Non è un caso che anche in ambito comunitario ci sia, in tal senso, una proposta di direttiva che mira a contrastare l’uso di società fittizie ai fini fiscali e che dovrebbe applicarsi dal 1° gennaio 2024. La sequenza logica (in quattro fasi) che emerge dalla proposta è tutta imperniata sulla “sostanza minima” che l’impresa deve dimostrare per evitare di essere classificabile come entità usata in modo improprio per ottenere vantaggi fiscali. Un approccio piuttosto differente da quello attualmente adottato dal Fisco italiano, risalente al 1994 e con parametri mai più toccati dal 2006.

Riprendendo le parole della Cassazione, la disciplina italiana sulle “comodo” prevede una “triplice presunzione legale”:
1
.
la prima fa derivare dall’accertamento degli elementi patrimoniali indicati nella disciplina stessa il fatto ignoto dell’inoperatività della società, ed è vincibile dimostrando l’insussistenza di tali elementi patrimoniali ovvero la sussistenza di un’effettiva attività imprenditoriale;
2
la seconda correla all’inoperatività l’impiego elusivo dello schema societario per la gestione di patrimoni, ed è contrastabile tramite la prova di una situazione oggettiva e non imputabile all’interessato che giustifichi la scarsità dei ricavi e del reddito;
3.
la terza fa scaturire dall’inoperatività la percezione di un reddito minimo.

È opinione comune che sia giunta l’ora di una profonda rivisitazione dell’istituto, che, in questa forma, provoca forse più danni che benefici.

GLI ORIENTAMENTI DELLA CASSAZIONE
1. Dimostrazione dell’esistenza di situazioni oggettive

Il contribuente ha l’onere di dimostrare l’esistenza delle oggettive situazioni, specifiche e indipendenti dalla sua volontà, che abbiano impedito il raggiungimento della soglia di operatività e di reddito minimo presunto.
Pronunce 24314/20; 4946/21, 25421/20 e 4850/20

2.
Onere della prova in termini economici
In materia di società di comodo l’impossibilità per situazioni oggettive di conseguire il reddito presunto non va intesa in termini assoluti bensì economici, aventi riguardo alle effettive condizioni di mercato.
Pronunce 4019/19 e 24314/20, 10158/20 e 23165/20

3. La sussistenza di una effettiva attività imprenditoriale
Il contribuente ha la facoltà di superare la presunzione sulla non operatività della società dimostrando l’insussistenza di elementi patrimoniali valorizzati dall’amministrazione finanziaria ai fini del test di operatività, o la sussistenza di un’effettiva attività imprenditoriale, e la presunzione sull’impiego elusivo dello schema societario attraverso la prova di una situazione oggettiva e non imputabile all’interessato che giustifichi la scarsità dei ricavi e del reddito.
Ordinanze 16472/2022 26219/21

4. Non è di comodo la società che dimostra la non fittizietà

Le condizioni oggettive che giustificano il non superamento del test di operatività possono essere rappresentate da quelle situazioni nell’ambito delle quali il contribuente è in grado di dimostrare oggettivamente la non fittizietà di quanto dichiarato, non rendendosi necessaria, dunque, una distinzione tra le cause esterne e libere determinazioni dell’imprenditore stesso.
Cassazione: sentenza 1898/22
5. Per il mancato adeguamento al reddito minimo non basta la cartella
È illegittima la cartella fondata esclusivamente sui risultati del test di operatività delle società di comodo: è, infatti, irrilevante che la liquidazione automatica sia conseguita dai dati dichiarati dalla società contribuente, poiché l’amministrazione finanziaria deve provare la fondatezza della pretesa e l’applicabilità della disciplina delle società di comodo.
Pronunce 29734/20 e 41840/21
6. Impugnazione del diniego di interpello antielusivo (per risposte precedenti al 2016)
In tema di società di comodo, se l’amministrazione rigetta l’istanza disapplicativa, il contribuente può sempre procedere all’impugnazione del diniego. Pur non essendo tale atto contemplato tra quelli impugnabili, è infatti necessario valorizzare il diritto di difesa col presupposto che anche il diniego ha una potenzialità lesiva immediata dei diritti del contribuente.
Pronunce 20040/21 e 12150/19
7. Interpello non obbligatorio
La prova della sussistenza del diritto alla disapplicazione della disciplina in materia di società non operative può essere fornita anche al di fuori della procedura di interpello, e, dunque, anche in sede processuale.
Ordinanza 14756/21
8. Classificazione corretta sulla base dei principi contabili
Per il test della società di comodo occorre che la classificazione delle voci dell’attivo patrimoniale siano ripartite secondo i corretti principi contabili.
Ordinanza 2785/21
9. Variazione oggetto sociale
Esce dalla normativa sulle società di comodo la società che, avendo mutato l’oggetto sociale, si trova nel primo anno di esercizio della nuova attività.
Sentenza 33038/19

10. Esclusa la società di comodo per eventi sfortunati o «inettitudine produttiva»
Anche eventi sfortunati o la cosiddetta “inettitudine produttiva”, intesa come l’incapacità dell’imprenditore di raggiungere determinati risultati, permette la disapplicazione della disciplina delle società di comodo. Tale incapacità può dipendere anche dalle scelte economiche dell’imprenditore, sempre che non derivino dalla mancanza della volontà di svolgere l’attività d’impresa.
Ordinanza 23384/21

11. Riduzione dei canoni di locazione per la crisi del settore dell’affittuario

La crisi del settore in cui operano gli affittuari può essere considerata valida per motivare il livello dei canoni di locazione inferiori ai parametri fiscali.
Ordinanza 6029/20

12. Di comodo la società che affitta a parte correlata con canone non congruo

Non assume rilevanza, ai fini della disapplicazione della disciplina delle società non operative di cui all’art. 30 della legge 724/94, la clausola di immodificabilità del canone di locazione nell’ambito di un contratto di affitto d’azienda stipulato tra parti correlate.
Ordinanza 34232/21

13. Le difficoltà nel reperimento di potenziali locatari

Le difficoltà incontrate nel reperimento di potenziali locatari, per i propri immobili non integra l’oggettiva causa di esclusione della società di comodo.
Sentenza 1506/22
14.La stagionalità di un’attività non può far superare da sola la presunzione di società di comodo
La natura stagionale dell’attività svolta da una società non è una causa di disapplicazione automatica della disciplina delle società di comodo.
Ordinanza 15295/21

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