Controlli e liti

Società di persone, cortocircuito sul calcolo delle imposte evase

La pronunce più recenti puntano sulla somma degli illeciti dei singoli soci. Verifica dell’imponibile senza punti fermi

di Laura Ambrosi e Antonio Iorio

Permangono ancora molti dubbi sulla quantificazione ai fini delle imposte sui redditi dell’imposta evasa e dell’imponibile non dichiarato per le società di persone nei reati tributari dichiarativi, subordinati a una soglia di punibilità. Queste difficoltà interpretative emergono anche da una risposta della Guardia di Finanza nel corso del Telefisco.

LE SOGLIE DI PUNIBILITÀ NEI REATI DICHIARATIVI

Ma facciamo un passo indietro. La società di persone non è soggetto passivo ai fini delle imposte sui redditi. Eventuali evasioni coinvolgono i soci per effetto della tassazione per trasparenza. In concreto la dichiarazione in cui si realizza l’evasione sulle grandezze imponibili è quella della società, mentre l’imposta evasa si manifesta nella dichiarazione dei singoli soci.

Non è chiaro, pertanto, se il rappresentante legale della società sia estraneo per eventuali reati dichiarativi (dichiarazione infedele, dichiarazione fraudolenta con altri artifici, omessa presentazione) ovvero sia penalmente perseguibile per le imposte evase dai soci in conseguenza dell’imputazione per trasparenza. In quest’ultimo caso, non si comprende se le soglie penali debbano essere calcolate in capo alla società o al singolo socio (e quindi sommate) con evidenti differenze a seconda dell’interpretazione.

La GdF nella risposta dopo aver ricordato la propria posizione espressa nella circolare 1/2018, prende atto del differente orientamento giurisprudenziale affidandosi, ovviamente, all’orientamento dei singoli uffici inquirenti. Nel documento si tiene conto del concetto di «imposta evasa» quale differenza tra imposta effettivamente dovuta e quella indicata in dichiarazione (articolo 1, lettera f, del Dlgs 74/2000) e del fatto che i delitti dichiarativi sono reati di evento di danno. Si suggeriva così di verificare in capo ai singoli soci il superamento delle soglie sia dell’imposta evasa, sia dell’imponibile sottratto ad imposizione. Tale interpretazione è apparsa, da subito, la più conforme al testo normativo e quella di maggiore buon senso.

In sostanza, il rappresentante legale della società personale non risponde del reato dichiarativo ai fini dei redditi (ma non dell’Iva), ne rispondono, invece, i singoli soci allorché, in conseguenza dei redditi non dichiarati dalla società, qualcuno di essi abbia evaso somme superiori alla soglia e il relativo imponibile evaso superi i parametri di legge, sempre riferiti alla dichiarazione Irpef del socio.

Secondo la Cassazione, invece (sentenze 34407/2021, 31195/2020 e 19228/2019) il reato dichiarativo può essere integrato dal socio amministratore anche mediante la presentazione della dichiarazione in nome della società, e l’imposta evasa dovrebbe essere calcolata come somma delle imposte evase dai soci.

Queste pronunce però non considerano che la dichiarazione infedele e quella fraudolenta con altri artifici, oltre alla soglia di imposta evasa, prevedono anche che l’imponibile sottratto a tassazione superi percentualmente (10% o 5%) gli elementi attivi dichiarati. Mal si comprende, in tale contesto, come effettuare questa verifica: se rispetto ai dati dichiarati dalla società, dai singoli soci o alla somma di questi.

Sarebbe auspicabile un intervento chiarificatore della giurisprudenza per evitare che per la medesima fattispecie vi siano procedimenti penali in un ufficio giudiziario e in un altro si escluda la violazione penale.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©