Controlli e liti

Spese per abbigliamento non deducibili dal professionista

La sentenza 177/2/2023 della Cgt Veneto: l’inerenza è esclusa se i costi sono genericamente finalizzati a influire sull’immagine del lavoratore autonomo

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di Elettra Bandi

Non sono deducibili i costi relativi a capi di vestiario sostenuti da un professionista (promotore finanziario). Le spese per l’abbigliamento sono, infatti, deducibili solo se necessarie e strumentali allo svolgimento dell’attività e l’ inerenza è esclusa se le stesse sono genericamente intese a influire sull’immagine dei professionisti coinvolti. È quanto affermato dalla sentenza 177/2/2023 della Cgt Veneto.

La decisione dei giudici di appello si discosta da quella della Ctp di Verona che aveva parzialmente accolto il ricorso, dichiarando legittima la deducibilità dei costi sostenuti nella misura del 50% stante l’uso promiscuo.

Il principio di inerenza è estendibile al reddito di lavoro autonomo

Il principio di deducibilità di un costo per inerenza, relativamente ai redditi d’impresa è sancito dal comma 5 dell’articolo 109 del Tuir che prevede che le spese e gli altri componenti negativi siano deducibili se e nella misura in cui si riferiscano ad attività o beni da cui derivino ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito. Il principio di inerenza, pur non ravvisabile nell’articolo 54 del Tuir («Determinazione del reddito di lavoro autonomo»), è estendibile anche ai fini della determinazione del reddito di lavoro autonomo. Anche in tal caso quindi, un costo può essere considerato deducibile solo quando quest’ultimo è funzionale e strettamente collegato all’attività produttiva.

Le spese per vestiario integralmente deducibili

Per quanto riguarda la deduzione delle spese per vestiario ci sono casi in cui l’inerenza è palesemente ravvisabile, si pensi ad esempio agli indumenti il cui acquisto è obbligatorio in base a specifiche norme di legge come quelle sulla sicurezza del lavoro (ad esempio: scarpe antinfortunistiche e caschi protettivi eccetera). Anche i costi per le tute e le divise da indossare durante l’orario di lavoro sono interamente deducibili dal reddito d’impresa. Inoltre, è ormai pacifico che sia interamente deducibile il costo per l’acquisto della toga da parte dell’avvocato (la legittimità della deduzione viene ribadita anche dalla sentenza in commento). In parallelo direi che possa ritenersi deducibile anche il camice del medico e del farmacista.

La questione degli abiti professionali

La deducibilità degli abiti formali utilizzati dalle categorie professionali (ad esempio agenti e rappresentati), è da sempre una questione controversa e dibattuta. Nell’appello relativo alla vicenda in commento, l’agenzia delle Entrate ha sottolineato che le uniche fattispecie in cui era stata riconosciuta un’inerenza di costi per abbigliamento ad uso promiscuo riguardavano solo soggetti impiegati nell’ambito dello spettacolo e che l’inerenza non è ravvisabile nei costi sostenuti dai professionisti in quanto le spese di abbigliamento non possono essere ritenute necessarie e strumentali all’attività.

Sul tema ricordiamo che la sentenza 6443/40/2016 della Ctp Milano ha ammesso la deducibilità al 50%, stante l’uso promiscuo, dei costi per vestiario, giustificati da contratti di ingaggio per trasmissioni televisive da parte di personaggi del mondo dello spettacolo. Per i giudici di Milano non è quindi tanto la natura del bene che ne determina la deducibilità, «ma il legame tra esso e l’attività, in relazione allo scopo perseguito al momento in cui la spesa è stata sostenuta e con riferimento a tutte le attività tipiche della professione stessa e non semplicemente, ex post, in relazione ai risultati ottenuti in termini di produzione del reddito». Secondo i giudici della Ctp Milano i contratti di ingaggio sarebbero sufficienti a dimostrare l’inerenza e la deducibilità forfettaria del 50% dei costi per gli abiti indossati nello svolgimento dell’attività.

La logica definita dalla sentenza della Ctp Milano si potrebbe trasporre anche agli abiti formali e, nel caso in cui un contratto di collaborazione professionale preveda una clausola scritta in merito al «dress code», la deduzione del costo nella misura del 50% (stante l’uso promiscuo) parrebbe plausibile e giustificabile (anche se sempre contestabile).

Per i freelance che operano senza particolari clausole, la deduzione dei costi (al 50%) è rischiosa dato che, in eventuale sede contenziosa, non ci si potrebbe appellare ad alcuna clausola giustificativa.

In ogni caso, alla luce della recente sentenza della Cgt Veneto, la deducibilità dei costi per gli abiti va valutata con cautela, bilanciando con attenzione rischi e benefici e tenendo conto dell’approccio restrittivo dell’Amministrazione finanziaria sulla questione.

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