Imposte

Split payment, i (continui) ritocchi agli elenchi che penalizzano imprese e professionisti

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di Raffaele Rizzardi

Un saggio e noto proverbio afferma che la gatta frettolosa fa i gattini ciechi. Proprio per questo ed in particolare per evitare inadempimenti involontari, lo statuto dei diritti del contribuente dispone che nessun nuovo adempimento possa essere imposto prima che siano passati almeno sessanta giorni non solo dall’entrata in vigore della norma, ma dalla disponibilità di tutti i provvedimenti di attuazione.

Il termine tiene anche in debito conto il fatto che le procedure amministrative e informatiche sono sempre più complesse, e che solo guardando la terra da un asteroide si può pensare che rilevanti modifiche possano essere fatte in uno o pochi giorni.
Queste considerazioni vengono alla mente nel constatare l’incertezza sull’individuazione dei clienti destinatari dello split payment, nella versione del Dl 50 convertito con entrata in vigore il 24 giugno. Considerando che le nuove regole si applicano dal primo luglio, abbiamo avuto due decreti di attuazione, il primo pubblicato la sera del 30 giugno e il secondo la sera del 24 luglio.

Entrambi i provvedimenti si sono preoccupati degli aspetti organizzativi e informatici solo dal punto di vista dei destinatari di queste fatture, consentendo loro alcuni mesi di tempo per l’adeguamento e le relative liquidazioni, mentre i fornitori dovrebbero avere non una, ma due bacchette magiche.

La prima per emettere subito le fatture in base ai primi elenchi pubblicati dal Mef, la seconda per stornare le fatture emesse nei confronti di alcune migliaia di soggetti che sono stati esclusi dal secondo elenco. E comunque devono tenerle sempre a disposizione, perché ancora il 4 agosto altre società sono state escluse e altre ancora sono state inserite. E non è detto, a questo punto, che non vedremo altre modifiche additive piuttosto che riduttive.
Lo scompiglio amministrativo recato dalle norme del Dl 50 (ma siamo sicuri che avranno un effetto sul gettito, superiore ai maggiori costi amministrativi?) riguarda anche la riduzione del termine per l’esercizio del diritto di detrazione dell’Iva, che prima vedeva la decadenza dopo la dichiarazione del secondo anno successivo, mentre per le fatture emesse dal 1° gennaio 2017 dovrà entrare necessariamente nella dichiarazione dello stesso periodo in cui l’imposta è divenuta esigibile per il fornitore.

Su questo argomento la Commissione europea ha ricevuto il 12 maggio scorso una denuncia di infrazione sottoscritta dai presidenti dell’Associazione nazionale dei commercialisti (Anc) e della Confederazione dell’industria manifatturiera italiana e dell’impresa privata (Confimi). Le due associazioni comunicano che il 3 agosto è iniziato l’iter della denuncia, con l’assegnazione del caso al funzionario competente.
La denuncia è documentata e ricca di esempi sulla nuova complessità conseguente alla riduzione del termine per l’esercizio del diritto fondamentale in materia di imposta sul valore aggiunto, in violazione dei principi di effettività, proporzionalità e neutralità della disciplina Iva. In particolare questo documento si sofferma sui problemi relativi alle fatture che i fornitori trasmettono a fine anno, che dovranno in molti casi essere trattate fuori sistema, anche con la necessità di dover presentare dichiarazioni integrative a favore per tenerne conto. Con il rischio evidente di perdere questo fondamentale diritto o comunque di dover sostenere costi rilevanti.

Da parte nostra vogliamo evidenziare un aspetto citato solo nelle premesse del documento, ma che a nostro avviso è quello più rilevante. Le fatture differite supportate da bolle di consegna del mese di dicembre (esemplifichiamo 2017) possono essere emesse sino al giorno 15 del mese di gennaio del 2018. Perché il giorno 15? perché il giorno 16 devono partecipare a debito nella liquidazione di dicembre del fornitore, in quanto l’esigibilità attiene a questo mese.

Ne consegue che, in base all’articolo 19 legge Iva, la detrazione per il cliente può essere esercitata soltanto con la dichiarazione del 2017. Ma il diritto di detrazione è subordinato alla registrazione, che per il novellato articolo 25 della legge Iva, può essere eseguita solo dopo aver ricevuto la fattura, entro la dichiarazione annuale relativa all’anno di ricezione della fattura. Anno che nell’esempio sopra riportato (2018) non coincide con quello di esigibilità della fornitura (2017), tanto più che nessun programma di contabilità consente di registrare nel libro acquisti di dicembre una fattura del fornitore datata 15 gennaio dell’anno successivo.

In attesa dell’esito della procedura di infrazione europea occorre comunque mettere immediatamente mano all’armonizzazione tra l’articolo 19 e l’articolo 25 della legge Iva. Al di là della prevedibile complessità amministrativa, senza una rapida correzione sarà concreto il rischio di non poter detrarre l’Iva sulle fatture di fine anno o su quelle pervenute in ritardo. Non dimentichiamo a questo proposito che l’articolo 6, comma 8, lettera a) del Dlgs 471/97 pone il paletto per la regolarizzazione delle fatture non pervenute entro quattro mesi dall’effettuazione dell’operazione. Sino a tale data la fattura del fornitore è regolare ma rischia di non consentire il diritto di detrazione o di renderlo estremamente complesso ed oneroso.

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