Controlli e liti

Stop alla nullità dell’opzione put che consente di recuperare il capitale

immagine non disponibile

di Angelo Busani

Azzerata in Cassazione (sentenza n. 17498 del 4 luglio 2018) la tesi del Tribunale e della Corte d’appello di Milano secondo cui sarebbe nulla, per infrazione del divieto del patto leonino, l’opzione put con la quale, in sostanza, si garantisce a un socio la restituzione dei suoi conferimenti nel capitale sociale. Il Tribunale di Milano si era espresso con sentenza 18833 del 30 dicembre 2011, la Corte d’appello con sentenza n. 636 del 19 febbraio 2016 (si veda Il Sole 24 Ore del 4 maggio 2016).

Il tema di cui si è discusso in questo giudizio è se un socio possa pattuire con altro socio un accordo («classico» nelle operazioni di M&A) in base al quale uno di essi (tipicamente, il socio finanziatore) può pretendere dall’altro socio (tipicamente, il socio imprenditore) che quest’ultimo, a richiesta del finanziatore, compri la quota di partecipazione del socio finanziatore stesso per un prezzo pari a quanto da questi versato nel capitale sociale (oltre a eventuali interessi). L’opzione put è appunto il diritto del titolare dell’opzione di pretendere che la controparte (il cosiddetto «soggetto oblato») si renda acquirente del bene (nel caso in questione: la quota di partecipazione al capitale di una società) oggetto del contratto d’opzione.

Nel giudizio di merito questo patto venne dunque tacciato come lesivo del divieto del patto leonino, vale a dire il divieto di inserire nello statuto sociale una clausola tale da rendere un socio del tutto estraneo alla partecipazione agli utili o alle perdite: se un socio – hanno ragionato i giudici di merito – può pretendere che un altro socio rimborsi tutto quanto dal primo sia stato versato significa che il titolare della opzione put viene sostanzialmente esonerato dalla partecipazione al rischio di partecipare alle perdite.

Per il vero, la tesi accolta nel giudizio di merito si fondava anche sulla considerazione che la Cassazione (sentenza n. 8927/1994) aveva reputato come in violazione al divieto di patto leonino qualsiasi accordo tra soci che provocasse la assoluta e costante esclusione di un socio dal partecipare a utili e perdite.

Ora, nella sentenza n. 17498/2018, la Cassazione dice che le sue espressioni del 1994 vanno intese nel senso che il divieto di patto leonino vale quando l’accordo leonino sia stipulato tra la società e il socio, ma non quando sia il frutto di un accordo meramente interno tra i soci, che non impatta sul punto che la società non ne viene coinvolta. E ciò specialmente quando un tale accordo è il frutto di una negoziazione intervenuta tra i soci al fine del finanziamento, mediante versamento di capitale di rischio, di una data iniziativa imprenditoriale.

È meritevole di tutela, secondo la Cassazione, la strumentazione giuridica che sia allestita al fine di sostenere l’attività di impresa favorendo l’afflusso di risorse finanziarie: nella fattispecie, sono meritevoli di tutela gli «accordi in cui la causa concreta è mista, in quanto associativa e di finanziamento» che hanno una «funzione di garanzia assolta dalla titolarità azionaria e dalla facoltà di uscita dalla società senza la necessità di pervenire alla liquidazione dell’ente».

Cassazione, sentenza 17498/2018

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©