Strumento efficace per favorire la trasparenza
Si parla spesso del rapporto fra scambio automatico di dati e voluntary bis. Ci si chiede se lo scambio di informazioni sarà realmente efficace e quanto possa aumentare i poteri di indagine del fisco e quindi se ci siano ancora alternative alla voluntary bis.
Ora come ora è corretto partire dall’assunto che lo scambio dati – magari non subito, ma molto presto – diverrà qualcosa di più concreto di una rete di trattati internazionali e ipotizzare qualche scenario, fra i meno complessi.
Una persona residente in Italia detiene (direttamente o ad esempio attraverso una holding passiva o una società schermo) un conto non dichiarato presso un intermediario finanziario di un Paese aderente al Common reporting standard o che in futuro vi aderirà. I dati del contribuente saranno comunicati, magari fra qualche anno, al fisco italiano. L’agenzia delle Entrate,
non vedendo compilato il quadro RW, potrà aprire un’indagine al termine della quale scatterà quasi certamente la presunzione che le attività non dichiarate siano costituite mediante redditi sottratti a tassazione, con l’effetto che l’intero capitale sarà considerato reddito evaso.
La presunzione è prevista dalla legislazione italiana nel caso in cui il conto o l’entità siano localizzati in Paesi black list o comunque Paesi a fiscalità privilegiata. Il contribuente si troverà quindi nella condizione di dover esibire spontaneamente, per fornire la prova contraria, anche gli estratti conto degli anni precedenti all’avvio dello scambio di informazioni, esponendosi così alle sanzioni per l’omessa compilazione del quadro RW.
Un altro caso, frequente è quello del contribuente che abbia “scudato” le partecipazioni in una holding che controlli una società italiana. Fino ad ora la segretazione ha impedito agli Uffici di provare che il contribuente è titolare della holding. Lo scambio di informazioni proveniente dalla banca estera della holding, consentirà al fisco di superare l’ostacolo e quindi di avviare indagini per accertare l’effettiva residenza della holding e il rispetto delle disposizioni sulle società controllate estere (Cfc).
Lo scambio di informazioni è certamente superabile mediante persone fisiche “interposte” disponibili a dichiarare falsamente di essere titolari effettivi delle attività estere. Ma in futuro, grazie all’adesione al Common reporting standard e alla disciplina antiriciclaggio, sarà sempre più complicato garantirsi la complicità non solo dell’interposto, ma inevitabilmente dei consulenti e dei funzionari di banca locali, considerate le sanzioni derivanti dalla normativa antiriciclaggio a carico non solo del contribuente, ma anche degli interposti.
Ma il vero elemento di riflessione resta quello più facilmente comprensibile per tutti: la clandestinità è destinata a rendere molto difficile, per il contribuente e i suoi eredi, utilizzare il capitale oltre che in Italia, anche nei Paesi collaborativi, compresi quelli che oggi non lo sono, ma lo saranno in futuro.