Sul Fisco l’ombra della «cash flow tax»
Uno spettro si aggira sullo scenario della fiscalità mondiale: la
Dietro questo acronimo si nasconde infatti una rivoluzione dei principi di tassazione - dal profitto alla cassa - che rischia di scuotere alle fondamenta il resto del mondo, non solo la debole Europa dei regimi diversificati e del dumping interno, ma anche la cooperazione internazionale dell’Ocse e gli sforzi di inquadramento della nuova economia globale e in larga parte de-materializzata.
Se ne è parlato ieri a Bologna in un interessante confronto a più voci ospitato dall’Università Alma Mater e non a caso incentrato sulla “
Il cambio di paradigma fiscale in un mondo imprenditoriale e finanziario sempre più veloce - infinitamente più veloce delle teorie dell’imposizione - è stato al centro degli interventi di Stefano Micossi (Assonime), Vieri Ceriani (Mef) e Giuseppe Peleggi (agenzia Dogane).
Proprio Micossi ha preso atto della naturale fine dei meccanismi di imputazione tradizionali, a partire dalla stabile organizzazione e dalla libera concorrenza nelle transazione intercompany, suggerendo il passaggio alla ripartizione di profitti realizzati a livello mondiale tra le diverse giurisdizioni sulla base di una formula presuntiva (“apportianment”) diversamente modulabile per settori di attività «che tenga conto di tutti i fattori che concorrono a creare la ricchezza» ha detto il rappresentante di Assonime. Una proposta, questa, che rischia però di finire in clamoroso fuorigioco se gli Stati Uniti del presidente Donald Trump decidessero di rivoluzionare il sistema della tassazione adottando la riforma che - pur depositata in piena campagna delle primarie presidenziali - ora il presidente potrebbe tirare fuori dagli archivi per far saltare il banco mondiale.
Timori, ha spiegato Vieri Ceriani, che riguardano sia le tecnicalità (la cash flow tax ha un regime sugli investimenti - subito detraibili interamente - e sulle deduzioni degli interessi, non previste, esattamente antitetico ai sistemi vigenti, inoltre esenta le esportazioni ma non le importazioni) sia il quadro internazionale, considerato che in questo ribaltamento concettuale tutti i trattati bilaterali non sarebbero più applicabili.
In ogni caso, ha sottolineato Giuseppe Peleggi, dell’agenzia delle Dogane, i tempi sono maturi per superare l’idea della base “fisica” della tassazione del prodotto: «Se continuiamo a tassare in base al luogo di produzione, tra breve dovremo classificare le navi su cui si stamperanno prodotti in 3D. È chiaro che così non va più».
Unico segnale coerente dal cantiere fiscale europeo è la nuova Iva/Vat attesa per l’autunno, che spezza il legame con il luogo di produzione e si orienta verso quello di destinazione, un modo di rendere più equa - e correttamente concorrenziale - l’imposizione indiretta.