Imposte

Superbonus 110%, l’opportunità di ottimizzare il carico fiscale per chi acquista i crediti

Il differenziale tra prezzo e valore nominale permette di ridurre il tax rate, ma serve un budget previsionale affidabile

di Davide Cagnoni e Angelo D'Ugo

Tra i vari chiarimenti giunti con la circolare 24/E dell’8 agosto 2020 sul superbonus del 110% (articolo 119 del decreto Rilancio 34/20), l’agenzia delle Entrate ha specificato anche le modalità di gestione delle opzioni alternative alla fruizione diretta della detrazione. Si tratta di alternative che rappresentano un potenziale volano sia per i beneficiari degli incentivi che per gli operatori del settore.

In base all’articolo 121 del Dl 34/2020, i soggetti che tra il 1° gennaio 2020 e il 31 dicembre 2021 sostengono le spese rientranti nel superbonus possono, in alternativa all’utilizzo diretto, optare:

1) per un contributo, sotto forma di sconto sul corrispettivo dovuto, di importo massimo non superiore al corrispettivo stesso, anticipato dal fornitore dei beni e servizi per gli interventi agevolati (cosiddetto “sconto in fattura”). In questa situazione, che può prevedere anche uno sconto “parziale”, è il fornitore a recuperare il contributo anticipato sotto forma di credito d’imposta, di importo pari alla detrazione spettante, con facoltà di successive cessioni di tale credito;

2) per la cessione di un credito d’imposta corrispondente alla detrazione spettante. La cessione del credito può essere effettuata a favore:
- dei fornitori dei beni e dei servizi necessari alla realizzazione degli interventi;
- di altri soggetti (persone fisiche, anche esercenti attività di lavoro autonomo o d’impresa, società ed enti);
- di istituti di credito e intermediari finanziari.

L’ampia casistica di soggetti destinatari della cessione fa sì che possano essere interessati all’acquisto non solo i soggetti specializzati (rappresentati in primis dagli istituti di credito e dagli intermediari finanziari), ma anche soggetti in passato del tutto estranei a questo mercato, che potrebbero optare per l’acquisto del credito d’imposta dai beneficiari sia in ottica di ampliamento del proprio business sia per l’ottimizzazione della gestione del proprio carico fiscale.

Infatti, sfruttando la differenza tra il prezzo d’acquisto del credito (che sarà comunque “a sconto”) e il valore nominale dello stesso, potrà essere ridotto l’onere tributario effettivo dell’esercizio nel quale viene realizzata l’operazione e degli esercizi successivi, sulla base delle rate residue di detrazione non fruite dal beneficiario originario.

Ci si è posti il problema se al concetto di «altri soggetti» debba applicarsi la limitazione dettata a suo tempo dalle Entrate con la circolare 11/E/2018. In quel caso, infatti, l’Agenzia ha affermato che i cessionari siano «collegati al rapporto che ha dato origine alla detrazione» (limitazione che non scatta in caso di cedente incapiente, risposta delle Entrate del 23 luglio 2019, n. 298). Ma al momento tale limitazione non è stata riproposta nella circolare 24/E/2020. Inoltre, va ricordato che era stata dettata per un’altra norma, cioè il Dl 63/2013 (si veda l’articolo su NT+ Fisco).

Esempio di convenienza (e gestione)
Facciamo un esempio per chiarire meglio tale possibilità. La società Alfa ha liquidità disponibile per 5 milioni, un utile ante imposte di 2,5 milioni e imposte stimate da versare per l’anno 2020 pari a 1 milione. Decide di acquistare crediti, da soggetti che hanno effettuato interventi agevolabili nel 2020, a un prezzo di 2,7 milioni di euro; in questo modo acquisisce crediti per un importo complessivo nominale pari a 3 milioni (sconto del 10%).

A partire dal 1° gennaio 2021 e dopo aver inviato la comunicazione (si veda il provvedimento 283847 dell’8 agosto 2020), Alfa potrà ridurre il proprio onere fiscale utilizzando il credito in compensazione in base all’articolo 17 del Dlgs 241/1997, con un beneficio fiscale vicino allo sconto del 10 per cento. Il vantaggio, infatti, non sarà esattamente pari allo sconto ottenuto, in quanto la differenza tra il valore nominale del credito acquistato e il costo di acquisto dello stesso (nell’esempio pari a 300 mila euro) costituirà una sopravvenienza attiva ex articolo 88 del Tuir, da tassare nell’esercizio di acquisizione del credito (risposta interpello 105 del 15 aprile 2020, per quanto criticabile, si veda l’articolo su NT+ Fisco).

Gli aspetti da considerare
L’esercizio dell’opzione richiede che i soggetti acquirenti abbiano una ragionevole cognizione del proprio carico fiscale futuro. Infatti, un’eventuale incapienza del credito potrebbe ridurre il vantaggio derivante dall’acquisto a sconto (la quota di credito non utilizzata nell’anno non può essere fruita negli anni successivi e non può essere richiesta a rimborso), fatta salva chiaramente la possibilità di procedere a una successiva cessione a terzi.

Per evitare tale problema è consigliabile che i cessionari dei crediti predispongano un budget previsionale che stimi attendibilmente gli utili e le imposte future da versare, in modo tale da definire la soglia dei crediti acquistabili da utilizzare in compensazione.

Inoltre, l’opzione dei crediti da acquisire potrebbe essere operata scegliendo un numero ristretto di soggetti, con elevato potenziale di crediti, in modo da evitare la moltiplicazione delle verifiche da fare prima dell’acquisto.

Nonostante le responsabilità in capo agli acquirenti dei crediti siano infatti limitate alle sole ipotesi di concorso nella violazione (articolo 121, comma 6), appare comunque opportuno verificare la bontà del credito, soprattutto in presenza di importi significativi e in assenza di una struttura dedicata, che invece potrebbe essere messa in campo da soggetti più strutturati, come gli intermediari finanziari.


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