Imposte

Svolta fiscale Usa, vendite web sempre tassabili

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di Marco Valsania

La Corte Suprema degli Stati Uniti rivoluziona il fisco per l’e-commerce: gli stati americani, d’ora in avanti, potranno obbligare le società di commercio elettronico a far pagare e rastrellare le imposte sulle vendite. Il verdetto ha ribaltato vecchi precedenti - dell’era precedente il boom di Internet - che finora avevano nei fatti esentato dalla raccolta delle tasse molti retailer online. E promette ripercussioni sia per l’economia digitale che per le finanze pubbliche. La Corte ha citato studi che mostrano come i forzieri statali ormai perdano 33,9 miliardi l’anno a causa di mancate “sales taxes”.

Gli alti magistrati hanno deciso a stretta maggioranza, cinque a favore e quattro contrari, ma la spaccatura non è stata tra conservatori e liberal, segno che la sfida non ha netti connotati politici. Per la maggioranza, ha piuttosto un chiaro significato costituzionale e di difesa dell’economia di mercato ora che il digitale è maturo e affermato: il precedente bocciato, hanno scritto nelle motivazioni, «limita gli stati nella loro capacità di perseguire prosperità di lungo periodo e ha impedito ai partecipanti sul mercato di competere alla pari».

Il nodo da risolvere era se le società di e-commerce fossero tenute a raccogliere tasse anche in assenza di una loro presenza fisica nello stato dove avviene l’acquisto. Per numerosi stati si tratta di un’auspicata vittoria: avevano denunciato la perdita di miliardi di dollari di entrate. E successo rivendicano i tradizionali operatori del retail, che protestavano contro una concorrenza considerata sleale radicata nel diverso trattamento fiscale.

Per alcuni colossi dell’e-commerce non è una completa rivoluzione. Amazon, ad esempio, già raccoglie imposte sui prodotti che vende direttamente. Il cambiamento, tuttavia, si farà sentire. Non tutti seguono l’esempio di Amazon. E lo stesso leader americano del settore non rastrella le imposte quando le vendite sono effettuate da terzi, cioà da commercianti indipendenti che utilizzano le piattaforme del gruppo. Le conseguenze della sentenza dovrebbero farsi sentire anche sui consumatori: finora era stato possibile risparmiare sulle cosiddette “sales tax” comprando online invece che da negozi locali. Questa epoca volge adesso definitivamente al tramonto.

La decisione, in concreto, annulla una sentenza che risaliva al 1992: stabiliva, appunto, che gli stati potessero ordinare ai commercianti di far pagare e raccogliere imposte solo qualora avessero una sede fisica all’interno dei loro confini. Quel precedente era stato citato da tribunali di grado di inferiore per dare ragione ai retailer online. Il caso giunto alla Corte Suprema è partito dal Nord Dakota: nel 2016 lo stato aveva approvato una legge che obbligava i retailer online a far pagare e rastrellare imposte sulle vendite, pari al 4,5%, se registravano vendite superiori ai centomila dollari l’anno oppure oltre 200 transazioni individuali nello stato. Sulla base di quella legge, le autorità locali avevano presentato ricorso contro alcune società di e-commerce con sede fuori dallo stato e che avevano resistito, quali Wayfair, Overstock e Newegg. Oggi l’ultima parola, come spesso accade su temi caldi e d’avanguardi, è spettata alla Corte Suprema.

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