Controlli e liti

Termini di decadenza senza raddoppio ma le vecchie regole resistono ancora

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di Laura Ambrosi e Antonio Iorio

Le dichiarazioni in corso di predisposizione nelle prossime settimane, come quelle inviate l'anno scorso, non sono più soggette al raddoppio dei termini di decadenza dell'accertamento da parte dell'amministrazione finanziaria, anche se emergono violazioni di tipo penale. L'abrogazione dell'istituto infatti è ormai a regime con la conseguenza che l'ufficio potrà rettificare le prossime dichiarazioni entro il 31 dicembre 2023 (quinto anno successivo a quello di presentazione) ovvero entro il 31 dicembre 2025 in caso di omessa presentazione.

In realtà però i contribuenti e gli uffici fino alle dichiarazioni presentate nel 2016 (redditi 2015), dovranno confrontarsi con le vecchie regole. Basti pensare che la potestà di rettifica proprio per le dichiarazioni relative all'anno 2015 (presentate nel 2016) decadrà, in presenza di reati tributari, il 31 dicembre 2024, mentre per le dichiarazioni dell'anno successivo (relative al 2016 e presentate nel 2017) la data di decadenza, vigendo i nuovi termini, sarà precedente di due anni.

Nonostante l'orientamento della giurisprudenza di legittimità in materia sia abbastanza delineato e uniforme, permangono singolari contestazioni degli uffici e discutibili impugnazioni dei contribuenti.

La Corte di cassazione ormai da anni ritiene che il raddoppio dei termini non si applichi alle dichiarazioni Irap perché per gli inadempimenti non sono previste sanzioni penali. Nonostante ciò, molti uffici continuano a notificare accertamenti Irap beneficiando dei termini più lunghi e costringendo i contribuenti ad impugnare gli atti. Si spera che l'Agenzia impartisca presto direttive in proposito anche perché andando incontro al pagamento delle spese di lite si potrebbe ipotizzare a carico degli accertatori (e di chi omette di impartire le direttive del caso) un danno erariale.

Una delle principali questioni oggetto di contestazioni difensive attiene l'assenza di denuncia o della sua allegazione all'atto impositivo. Secondo la Suprema corte però è legittimo il raddoppio pur in assenza della denuncia: l'obbligo è stato infatti introdotto solo con il Dlgs 128/2015 e non è applicabile per il passato.

I giudici di legittimità hanno poi affrontato la portata delle modifiche intervenute con lo stesso Dlgs secondo il quale il raddoppio dei termini è subordinato alla presentazione della denuncia entro la decadenza ordinaria. Queste regole trovano applicazione agli atti impositivi notificati successivamente all'entrata in vigore del decreto (2 settembre 2015). La norma aveva previsto anche un regime transitorio, secondo cui «erano fatti salvi» gli effetti degli atti già notificati al 2 settembre 2015, a prescindere cioè dalla data di inoltro della notizia di reato. Successivamente, la legge di Stabilità 2016, ha eliminato il raddoppio, prevedendo espressamente per il passato (quindi fino al periodo 2016) la validità delle vecchie regole ove la notizia di reato sia stata inoltrata entro l'ordinario termine di decadenza. Varie commissioni tributarie hanno ritenuto che tale legge abbia tacitamente abrogato le vecchie regole, con la conseguenza che il raddoppio resta sempre subordinato all'invio della denuncia entro i termini ordinari. Per la Cassazione, invece, le due norme non sono in conflitto; quindi per il passato è confermata la legittimità anche in assenza di denuncia ovvero quando sia stata inviata oltre tali termini.

Tale interpretazione suscita perplessità, non comprendendosi come il giudice tributario, a richiesta del contribuente, possa valutare, secondo le prescrizioni della Corte costituzionale, l'utilizzo in modo strumentale della notizia di reato da parte dell'Ufficio, se la sua presentazione possa anche non avvenire.

Tuttavia, ormai la Corte di Cassazione si è uniformata in modo costante a tale orientamento e quindi potrebbe risultare dannoso intraprendere contenziosi per questi motivi.

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