Tre parametri base delineano l’identikit delle Pmi innovative
L’estensione alle Pmi dei benefici fiscali previsti per gli investimenti in start-up innovative, introdotta dall’articolo 4 del Dl 3/2015, non ha ancora trovato compiuta attuazione, stante la mancata pubblicazione del relativo decreto ministeriale (firmato lo scorso 7 maggio e ora al vaglio della Corte dei conti).
Lo status di «Pmi innovativa» rappresenta, del resto, la naturale evoluzione per le start-up che – pur avendo superato la fase di avvio vera e propria – mantengono una spiccata vocazione verso l’innovazione, come constatato anche nella relazione ministeriale pubblicata nel 2017.
Chiarita la ratio dell’ampliamento degli incentivi, nell’applicazione concreta i diversi requisiti previsti dalle norme di riferimento dovranno essere attentamente vagliati e coordinati al fine di evitare di compromettere i benefici già fruiti.
In entrambe le definizioni si trovano (oltre ad altri requisiti specifici) condizioni attinenti:
forma e status giuridico della società;
soglie dimensionali / temporali;
condizioni sostanziali riferite all’attività svolta.
In particolare, il regime di start-up innovativa può essere mantenuto (solo) fino a 60 mesi dalla costituzione o a 5 milioni di euro di valore della produzione, mentre sono considerate Pmi innovative le imprese fino a 50 milioni di fatturato (o con totale attivo non superiore a 43 milioni di euro, a condizione che occupino meno di 250 dipendenti) e che si trovino in fase di crescita o espansione. A differenza delle start-up innovative, inoltre, le Pmi possono distribuire utili ed essere quotate su sistemi multilaterali di negoziazione ancorché non su mercati regolamentati.
Per quanto attiene i connotati di innovatività, essi sono sostanzialmente legati a tre parametri, declinati in misura differente per start-up e Pmi:
ammontare delle spese in ricerca e sviluppo (per le start-up almeno pari al 15% del maggiore tra il valore e i costi della produzione, mentre per le Pmi la percentuale è ridotta al 3%);
parte della forza lavoro rappresentata da personale qualificato (1/3 per le start-up, 1/5 per le Pmi, salva la possibilità alternativa di assumere laureati magistrali in quota pari almeno ai 2/3 della forza lavoro per le start-up e ad 1/3 per le Pmi);
possesso (a titolo di proprietà o licenza) di almeno una privativa industriale direttamente afferente l’oggetto sociale e l’attività d’impresa.
Grazie alla continuità dimensionale e temporale, in particolare, si garantisce che un’impresa possa proseguire l’attività di raccolta di capitali a sostegno dell’innovazione anche oltre le classiche fasi di “seed” o “early-stage” financing, coprendo anche le successive fasi di “scale-up” o “expansion”.
Resta, dunque, importante in tal senso che il decreto in emanazione ponga al riparo da qualsiasi rischio che il passaggio dall’una all’altra categoria comporti indirettamente il verificarsi di cause di decadenza dai benefici già legittimamente ottenuti, con conseguente obbligo di “recapture”.