Imposte

Troppo esoso l’accesso all’affrancamento dei maggiori valori

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di Alessandro Germani

Le operazioni straordinarie neutrali (fusioni, scissioni, conferimenti aziendali) danno luogo a differenze di fusione (disavanzi) imputabili al maggior valore di determinati asset rispetto al loro valore contabile. L’attribuzione di tale disavanzo al maggior valore degli asset o, in tutto o in parte, ricorrendone le condizioni (si veda il principio Oic 4) ad avviamento, determina un doppio binario fra valore contabile (più elevato) e valore fiscale riconosciuto (più basso), con più elevati ammortamenti contabili che non sono riconosciuti fiscalmente. Esistono nel sistema alcune forme di affrancamento di tali maggiori valori mediante il pagamento di un’imposta sostitutiva, in modo tale da consentire di dedurre anche fiscalmente i maggiori valori ammortizzati.

Ventaglio di misure

I casi più diffusi sono da un lato l’affrancamento ordinario (articolo 176 comma 2-ter del Tuir) con aliquota al 12% fino a 5 milioni di euro, al 14% tra 5 e 10 milioni, al 16% per la parte che eccede i 10 milioni di euro e dall’altro quello derogatorio (articolo 15 comma 10, 11 e 12 del Dl 185/08), con aliquote pari al 16% se l’affrancamento riguarda l’avviamento, i marchi di impresa o altre attività immateriali, al 20% se l’affrancamento riguarda i crediti, secondo le ordinarie aliquote Irpef, Ires e Irap in altri casi differenti e residuali. Ciò che risulta chiaro è il fatto che molte di queste aliquote sono state fissate quando l’Ires presentava un’aliquota nominale del 33%, mentre oggi è fissata al 24 per cento. Pertanto l’attuale livello delle aliquote delle misure che consentono l’affrancamento dei maggiori valori delle operazioni straordinarie è troppo elevato e non presenta più il necessario appeal per l’utilizzo dovendo, conseguentemente, essere rivisto al ribasso. Ciò ne agevolerebbe l’utilizzo sia nell’ambito di operazioni riorganizzative infragruppo sia in operazioni di M&A verso terzi che comportano comunque operazioni straordinarie neutrali.

Partecipazioni non quotate

La rideterminazione del costo o valore d’acquisto delle partecipazioni non quotate è stata prevista dall’articolo 5 della legge 448/2001 ed è stata più volte oggetto di proroga. L’ultima è arrivata con la legge di bilancio 2019 ed è scaduta il 30 giugno 2019. Questa misura ha un chiaro appeal fiscale determinato dal fatto che la plusvalenza da cessione delle partecipazioni per il socio persona fisica anziché essere assoggettata a un prelievo definitivo del 26% è assoggettata ad un prelievo sostitutivo calmierato. Nel tempo si è assistito all’innalzamento di quest’ultimo, da un’aliquota del 4% per le partecipazioni qualificate (2% per le non qualificate), per giungere a un’aliquota unica dell’8% (senza distinzione fra qualificate e non) e pervenire infine alla misura dell’ultimo provvedimento pari all’11% per le qualificate (10% per le non qualificate).

Nonostante l’aggravio progressivo, la misura è spesso conveniente nel caso di compravendita di partecipazioni ma può essere sfruttata se ricorrono le condizioni normative (di solito possesso al 1° gennaio purché l’affrancamento venga perfezionato entro il 30 giugno). Ciò comporta che determinate operazioni vengano “congelate” o comunque fatte slittare se il cedente non è in grado di poter cogliere la “finestra”, ovvero il beneficio dell’applicazione dell’imposta sostitutiva, peraltro senza la certezza che in futuro la misura possa essere nuovamente prorogata.

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