Imposte

Va valutata la prevalenza del tipo di attività che l’ente svolge

di Gabriele Sepio e Thomas Tassani

Sotto il profilo fiscale, la classificazione delle attività svolte dagli Ets come commerciali o meno incide sulla qualificazione complessiva dell’ente, rilevando ulteriormente la prevalenza delle une rispetto alle altre. Con la Riforma del Terzo settore, infatti, si assiste all’introduzione di un criterio che ricalca la ratio sottesa all’articolo 149 Tuir che, come noto, individua una serie di parametri (immobilizzazioni, ricavi, redditi, spese) idonei a determinare la perdita della qualifica non commerciale, sulla base di una verifica dell’attività di fatto svolta. La Riforma persegue tuttavia un obiettivo di semplificazione, e di certezza del diritto, fissando un solo criterio “univoco” in virtù del quale definire la prevalenza dell’attività commerciale o non commerciale (e così fissare lo status dell’ente), in modo da superare le molteplici difficoltà applicative recate dall’articolo 149 citato.

Più nel dettaglio, l’articolo 79, comma 5, del Cts, dispone che debba considerarsi commerciale l’Ets i cui proventi delle attività di interesse generale svolte in forma di impresa, e delle eventuali attività diverse, siano prevalenti rispetto a quelli derivanti da attività di natura non commerciale.

Il test di prevalenza mette a confronto le entrate riconducibili alle diverse attività dell’ente e deve essere svolto considerando le puntuali disposizioni recate dal Codice.

Dovranno essere incluse tra le entrate di natura non commerciale i contributi, le sovvenzioni, le liberalità, le quote associative ed ogni altra entrata assimilabile, nonché il valore normale delle cessioni di beni o prestazioni di servizi effettuati con modalità non commerciali. Sono invece escluse dal computo delle attività di natura commerciale le entrate derivanti da sponsorizzazioni. Queste ultime, infatti, pur essendo soggette a tassazione, non devono essere considerate per verificare la qualifica fiscale dell’ente.

Un test questo che, a seconda che l’Ets si collochi come fiscalmente commerciale o meno, consentirà di poter fruire di alcune agevolazioni dal punto di vista fiscale. Solo per gli Ets non commerciali, infatti, la riforma introduce la possibilità di avvalersi di un regime di tassazione forfetario in relazione ai proventi derivanti dalle attività commerciali esercitate in via non prevalente, siano esse attività secondarie e strumentali (articolo 6 del Cts) o attività di interesse generale (articolo 5 del Cts).

Questi, infatti, potranno applicare coefficienti di redditività a scaglioni parametrati all’ammontare dei ricavi ed al tipo di attività svolta (prestazione di servizi o altre attività), senza soglie massime di proventi (come invece previsto dall’articolo 145 Tuir per gli enti non commerciali in contabilità semplificata). Se l’ente, invece, è una organizzazione di volontariato (Odv) o una associazione di promozione sociale (Aps) con ricavi annui inferiori a 130 mila euro sarà possibile optare per un forfetario agevolato (articolo 86 Cts) che consente di determinare il reddito d’impresa derivante dalle attività commerciali applicando coefficienti di redditività pari all’1% per le Odv e al 3% per le Aps. Regimi questi che in caso di Ets non commerciale si accompagnano alla possibilità di fruire delle agevolazioni in tema di erogazioni liberali e imposte indirette (articoli 82-83 del Cts) nonché di un regime di esenzione in ambito Iva (articolo 10 Dpr 633/1972) e Imu (articolo 82 Cts).

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