Imposte

Iva non dovuta, detrazione salva con l’errore

di Alberto Renda e Giorgio Dal Corso

I diversi interventi normativi che si sono succeduti negli ultimi due anni in tema di Iva erroneamente applicata dal cedente/prestatore sono orientati a riconoscere, in capo al cessionario/committente, il diritto alla detrazione dell’imposta addebitata per errore.

L’ambito applicativo della disposizione che attribuisce tale diritto (l’articolo 6, comma 6, del Dlgs 471/1997) potrebbe estendersi, in assenza di un pregiudizio per l’erario, a tutte le ipotesi di Iva non dovuta, ivi incluse le operazioni «fuori campo».

Come si ricorderà, anteriormente alle modifiche operate dal legislatore, la ricezione di una fattura recante un’imposta in tutto o in parte non dovuta non consentiva la detrazione dell’imposta subita in via di rivalsa e, conseguentemente l’Iva finiva per gravare sul cessionario, unitamente al carico sanzionatorio derivante dall’indebita detrazione del tributo.

Tale limitazione al diritto di detrazione trovava, e trova tutt’oggi, fondamento nell’interpretazione della direttiva Iva fornita dalla Corte di giustizia Ue, che, pur riconoscendo l’essenzialità della detrazione per garantire la neutralità del tributo, ne circoscrive l’esercizio alle sole imposte dovute, escludendone, invece, l’estensione all’Iva indebitamente versata a monte ancorché la stessa trovi rappresentazione nella fattura.

Tuttavia, per il tramite della modifica di una norma sanzionatoria, l’articolo 6, comma 6, del Dlgs 471/1997, il legislatore domestico ha cercato di ovviare alle incertezze di un sistema che sembrava ostacolare la salvaguardia della neutralità del tributo in tutte quelle circostanze in cui l’imposta fosse stata applicata in misura maggiore di quella dovuta ovvero risultasse erroneamente applicata, ma pur sempre assolta dal cedente/prestatore nei confronti dell’erario, ossia in assenza di pregiudizio erariale.

L’intervento sul sistema sanzionatorio ha, quindi, riconosciuto il diritto del cessionario o committente alla detrazione dell’imposta, pur confermando l’illiceità della condotta, ma con una rimodulazione della sanzione nella misura fissa in luogo di quella proporzionale.

Restano, tuttavia, perplessità sul perimetro applicativo della disposizione, ovvero la sua rilevanza rispetto a tutte quelle situazioni di Iva addebitata (e assolta) per errore dal cedente/prestatore che differiscono dal mero errore di quantificazione, in esito all’applicazione di un’aliquota più elevata.

Ci si riferisce, nello specifico, alle situazioni di non imponibilità, di esenzione o - addirittura - a quelle di esclusione (o fuori campo) che sono state «attratte» per errore, ma senza intenzione fraudolenta, nella sfera del tributo.

La necessità di ripristinare la neutralità del tributo in caso di errori «genuini» farebbe propendere per l’estensione del diritto di detrazione a tutte le ipotesi di «applicazione di un’imposta non dovuta», ivi incluse le operazioni «fuori campo».

Nell’auspicio di un intervento chiarificatore da parte dell’Amministrazione finanziaria, si potrebbe identificare l’ambito applicativo della disposizione in commento, alla luce della ratio di preservare la neutralità del tributo, in tutte le ipotesi in cui l’errore, comunque sanzionato, sia stato genuinamente (ossia, senza intento fraudolento) commesso e non abbia arrecato alcun pregiudizio erariale, in quanto l’Iva è stata, comunque, erroneamente assolta dal cedente/prestatore.

Per approfondire: Iva non dovuta e detrazione. un dilemma verso la soluzione, in Norme&Tributi Mese 11/2019

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