Imposte

Niente bonus su capital gain di attività depositate in Italia

Una risposta delle Entrate penalizza gli intermediari finanziari

di Paolo Ludovici e Antonella Massari

Il regime fiscale per i “neo residenti”, introdotto dalla legge di Bilancio 2017 con l’obiettivo di attrarre in Italia persone ad alta capacità di spesa e di investimento, prevede la possibilità per le persone che trasferiscono la residenza fiscale in Italia, dopo essere stati residenti fiscali all’estero per almeno nove degli ultimi dieci anni, di optare per un’imposta sostitutiva di 100.000 euro in luogo di ogni imposta ordinariamente dovuta su redditi e asset “esteri”.

Cosa è successo finora

Tale regime ha fino ad oggi penalizzato gli intermediari finanziari residenti in Italia, che sono rimasti di fatto esclusi dalla possibilità di offrire servizi di investimento e intermediazione ai beneficiari del regime di favore. I “neo residenti” sono stati infatti restii ad attribuire alcun tipo di mandato agli intermediari italiani, nel timore che ciò potesse comportare l’assoggettamento in Italia al regime di imposizione ordinario, vanificando in tal modo i benefici connessi al regime speciale.

La risposta delle Entrate

In tale contesto, la risposta fornita a dicembre dall’agenzia delle Entrate all’istanza di consulenza giuridica presentata dall’Associazione italiana private banking (Aipb) è da accogliere con favore. Infatti, fornisce chiarimenti in relazione ai principali dubbi interpretativi e consente agli intermediari di offrire i propri servizi ai “neo residenti” in un contesto normativo caratterizzato da maggiori certezze, seppur non privo di alcuni ostacoli.

I chiarimenti contenuti nella consulenza giuridica riguardano innanzitutto i criteri di territorialità dei redditi finanziari conseguiti tramite l’investimento in azioni, obbligazioni e titoli emessi da enti esteri.

L’agenzia delle Entrate conferma che in relazione a tali attività finanziarie estere la presenza di un intermediario italiano che interviene per offrire servizi di gestione, di amministrazione o di consulenza non produce alcuna attrazione dei redditi in Italia (siano essi redditi di capitale o capital gain), nella misura in cui le attività rimangono depositate presso un conto estero a nome del “neo residente”.

Gli intermediari italiani

Laddove, invece, le attività vengano depositate presso un intermediario italiano, nell’interpretazione dell’agenzia delle Entrate, i redditi di capitale continueranno a considerarsi di “fonte estera”, ma i capital gain saranno considerati redditi “italiani” e quindi esclusi dall’ambito di applicazione del regime di favore.

Tale risposta, ancorata ad una risalente interpretazione dell’amministrazione finanziaria, appare in contrasto con quanto chiarito in materia di imposta sulle successioni e donazioni: era stato confermato – in maniera condivisibile – che le attività emesse da soggetti esteri sono in ogni caso da considerarsi situate al di fuori del territorio italiano, anche laddove depositate presso un intermediario nazionale.

L’imposta sostitutiva

In relazione ai contratti di assicurazione sulla vita distribuiti in regime di libera prestazione di servizi, l’agenzia delle Entrate conferma la non applicazione dell’imposta sostitutiva sui redditi, così come esclude rispetto ai contratti di assicurazione stipulati dai “neo-residenti” che siano dovute l’imposta sulle riserve matematiche e l’imposta sul valore dei contratti assicurativi e ciò anche nel caso in cui un intermediario italiano intervenga nell’incasso dei pagamenti.

Infine, la consulenza giuridica esclude che possa applicarsi un regime di esenzione dall’imposta di bollo sui servizi resi ai “neo residenti” dagli intermediari italiani, nonostante la norma preveda un regime di esenzione dall’Ivafe nel caso in cui gli stessi soggetti mantengano le attività all’estero, affidandosi ai servizi di intermediari non residenti.

La differenza

Tale differenza appare poco giustificata non tenendo conto delle necessità di simmetria tra imposta di bollo e Ivafe. Un intervento legislativo sul punto, come auspicato dall’Aipb, sarebbe quindi alquanto opportuno, poiché favorirebbe la possibilità per gli intermediari italiani di offrire servizi ad alto valore aggiunto a favore di clienti con patrimoni finanziari consistenti.

In tal modo – in linea con gli obiettivi della norma di favore – si creerebbe ulteriore occupazione qualificata in Italia, si favorirebbe un maggiore radicamento dei “neo residenti” nel territorio italiano, si stimolerebbe la promozione del regime da parte dei principali istituti bancari nazionali e, infine, le maggiori commissioni percepite dagli intermediari sconterebbero le imposte in Italia.

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