Imposte

In banca i neoresidenti scontano l’imposta di bollo

Negata l'asimmetria con l’Ivafe per le attività estere detenute in Italia

di Paolo Ludovici

Con istanza di consulenza giuridica, l’Associazione italiana private banking aveva richiesto all’agenzia delle Entrate di chiarire se i conti intrattenuti in Italia con intermediari finanziari ivi stabiliti fossero soggetti all’imposta di bollo anche se intestati ai “neo-residenti” che beneficiano del regime speciale di cui all’art. 24-bis del TUIR.

La richiesta era così motivata:

ai sensi dell’articolo 1, comma 153, della legge di bilancio 2017, i soggetti che esercitano l’opzione per l’applicazione del regime neo-residenti sono esenti dall’imposta sul valore degli immobili detenuti all’estero (Ivie) e dall’imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero (Ivafe);

nessun regime di esenzione è stato invece espressamente previsto per l’imposta di bollo e ciò appare coerente con la circostanza che tale imposta trova, in linea di principio, applicazione solamente rispetto ad atti, documenti e registri formati nel territorio dello Stato e, quindi, in principio a fattispecie puramente “italiane” che, in quanto tali, non rientrano nel perimetro di applicazione del regime agevolativo;

benché formalmente distinte, le due imposte hanno nei fatti il medesimo presupposto impositivo, che non coincide con la formazione di atti, documenti e registri nel territorio dello Stato – presupposto tipico dell’imposta di bollo – bensì nel possesso di strumenti e prodotti finanziari (si tratta sostanzialmente di un’imposta patrimoniale sul possesso di attività finanziarie);

l’unicità del presupposto impositivo è peraltro confermata sia dagli interventi normativi che hanno seguito il Dl 201/2011 e che sono stati finalizzati ad eliminare il più possibile ogni differenza applicativa tra le due imposte, sia nel provvedimento dell’agenzia delle Entrate 72442 del 5 giugno 2012, che ha stabilito di fatto un principio di alternatività tra le due imposte, stabilendo la non applicazione dell’Ivafe in tutte le circostanze in cui le attività detenute all’estero sono “intermediate” da un’istituzione finanziaria residente e sono quindi assoggettate da quest’ultima all’imposta di bollo;

la sostanziale unicità dei due tributi è stata inoltre confermata dalla stessa agenzia delle Entrate nella circolare 28/E del 2 luglio 2012 nella quale viene evidenziato come «L’introduzione di un’imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero (Ivafe) deriva da esigenze di coerenza del sistema, posto che per le attività detenute presso intermediari italiani è prevista l’applicazione di un’imposta di bollo»;

in ragione della sostanziale unicità dei due tributi, un’interpretazione coerente delle norme dovrebbe estendere il regime di esenzione previsto per i “neo-residenti” anche all’imposta di bollo.

La risposta dell’Agenzia è stata di segno opposto, non tanto basandosi su elementi di carattere sistematico, bensì sul “tenore letterale” della disposizione che si riferisce solo all’Ivafe e non anche all’imposta di bollo. Si tratta di un’interpretazione aderente alla formulazione letterale della norma ma è altrettanto vero che non è l’unica possibile, soprattutto laddove la ratio della norma e il principio di “simmetria” conducono ad una opposta conclusione.

Il tema è rilevante non già per il costo dell’imposta (0,2% che può essere superiore alla commissione applicata dagli intermediari) ma per le ricadute psicologiche connesse ad un rischio (che da sempre tormenta i sonni degli italiani) di introduzione di un’imposta patrimoniale che, se attuata mediante una “maggiorazione” dell’imposta di bollo, potrebbe a questo punto incidere anche sui neo-residenti in relazione agli investimenti finanziari intrattenuti con intermediari stabiliti in Italia.

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