Imposte

App e siti di cashback: il rimborso sugli acquisti online va nel 730 (ed è tassato)

Gli accrediti di alcuni portali non sono sconti diretti ma «provvigioni», soggette a una ritenuta d’acconto

C’era una volta lo sconto sul prezzo, anche negli acquisti online. Taglio secco, senza altre complicazioni né tasse nascoste. Ma da quando ai codici sconto (coupon digitali) si sono affiancati i rimborsi (cashback), anche gli acquisiti dell’e-commerce hanno fatto capolino nelle dichiarazioni dei redditi. Perché il passaggio da un principio («ottieni lo sconto») all’altro («guadagna comprando») non è fiscalmente neutro.

Pioggia di Certificazioni uniche
Lo sa bene chi nei giorni scorsi ha ricevuto le Certificazioni uniche (Cu) da particolari sostituti d’imposta: i siti specializzati in cashback. Per il Fisco, infatti, quegli incentivi all’acquisto, quelle percentuali sui pagamenti via web o di prossimità che vengono riaccreditate all’acquirente, in alcuni casi possono costituire «redditi diversi». Da dichiarare e tassare, anche nel modello precompilato che dal 14 maggio può essere modificato (e inviato nel caso del 730, mentre Redditi è inviabile dal 19).

Guadagni e ritenute
Nel dettaglio, la tipologia è quella dei «redditi derivanti da attività commerciali non esercitate abitualmente» (causale V1 della Cu 2020), che vengono riportati nel rigo D5 del 730 (e nel rigo RL14 del modello Redditi Pf). A meno che il contribuente sia esonerato dal presentare la dichiarazione: se il reddito da attività commerciali occasionali è l’unico e non supera i 4.800 euro, infatti, si staziona nella no tax area e non c’è obbligo di inviare il modello dichiarativo.
Eccetto i casi di esonero (per esempio, un figlio a carico dei genitori che non possiede altre entrate), gli altri contribuenti dovranno quindi gestire anche le Certificazioni uniche ricevute dalle società di cashback, che in alcune circostanze – in quanto «datori di lavoro» – sono obbligate per legge a fare da sostituto d’imposta ed effettuare la ritenuta d’acconto sulla cifra riaccreditata al cliente.

Rapporti di «agenzia»
Quando l’utente è trattato al pari di un agente di commercio, la base imponibile su cui viene calcolata la ritenuta Irpef è pari al 50% dell’importo lordo pagato: su questo si applica una Rad (ritenuta d’acconto sulle provvigioni) del 23%, corrispondente all’aliquota Irpef marginale del primo scaglione di reddito (si applica, di fatto, un prelievo alla fonte del 11,5%: cioè il 50% del 23 per cento). Il cashback materialmente ricevuto sul conto, insomma, era già al netto delle ritenute.

La mano visibile
Anche se alcune comunicazioni promozionali delle app possono trarre in inganno («non c’è altro da pagare», dicono in sostanza), la ritenuta fiscale potrebbe non esaurire le pretese del Fisco, cioè le imposte complessive sui «guadagni-comprando». Perché si tratta appunto di una ritenuta «a titolo d’acconto». Mentre il saldo va calcolato facendo confluire i proventi nel reddito complessivo da assoggettare a Irpef: l’esito finale del conteggio dipenderà dalla consistenza dei redditi del contribuente e dai meccanismi di deduzione o detrazione. Si parla di piccole cifre, ma è un fatto che la mano del Fisco possa continuare a erodere quel presunto risparmio. E, comunque, le Cu vanno pur sempre inserite in dichiarazione.

Scelte (e obblighi) commerciali
Non tutte le formule di cashback hanno implicazioni fiscali. Ci sono infatti siti e app (come Satispay) che configurano la propria offerta quale «sconto diretto»: un accredito, cioè, contestuale all’acquisto, come uno sconto «tradizionale» che non rappresenta un guadagno e non è dunque tassato. Così come non lo sono i buoni o i voucher.

Le cose cambiano, invece, quando lo sconto è «indiretto», applicato in un momento successivo alla spesa. In particolare, quando le piattaforme di cashback (tipo BuyOn) – anche attraverso le carte conto ricaricabili con cui collaborano (tipo Hype)– non rimborsano subito l’utente, ma aspettano che raggiunga una determinata soglia (per esempio 10 euro), in modo da fidelizzarlo e spingerlo a ulteriori acquisti. Oppure quando consentono «rimborsi» anche per l’iscrizione o per l’acquisto di un amico, eccetera.

La ritenuta è infatti prevista «per le prestazioni anche occasionali inerenti a rapporti di commissione, di agenzia, di mediazione, di rappresentanza di commercio e di procacciamento di affari» (articolo 25-bis del Dpr 600/73). E gli utenti iscritti ai siti di rimborso «differito» o promozionale possono trovarsi a ricevere (e veder comparire nel 730 o nel modello Redditi precompilato) diverse Certificazioni uniche, pur con importi bassissimi, di pochi euro.

I dati nel 730 precompilato
Anche chi gestisce la dichiarazione dei redditi con il fai-da-te (3,3 milioni di contribuenti nel 2019) deve quindi sommare i redditi certificati con le Cu e scomputare le ritenute subìte, indicando il tutto nella sezione dei «Redditi diversi». L’applicazione online delle Entrate provvederà poi a liquidare l’Irpef.
Nella stessa sezione della dichiarazione, per esempio, potrebbero finire anche prestazioni occasionali di lavoro autonomo e redditi di locazione conseguiti grazie ad affitti brevi (gestiti tramite Airbnb, altri portali o agenzie tradizionali), quando il contribuente agisce in qualità di sublocatore o comodatario: in questi casi, infatti, si ottiene un reddito diverso, non un reddito fondiario. E, lo ricordiamo, si può scegliere la cedolare secca. Ma solo per i proventi della locazione, non certo per i redditi da cashback.

Escluse le vendite online
Sempre a proposito di compravendite online, va sottolineato che di solito non devono essere dichiarati al Fisco i proventi che si ricavano via internet da attività puramente occasionali. In particolare, se sono svolte senza i requisiti di «abitualità», «professionalità» o «organizzazione di mezzi», per usare il linguaggio dell’amministrazione.
Pensiamo alla vendita di un passeggino per bambini usato o di una vecchia collezione di francobolli, avvenuta su siti specializzati come Ebay. Se l’attività non viene svolta in modo ricorrente, il ricavato non «fa reddito».

Il cashback di Stato
Il meccanismo del cashback sta diventando così popolare che persino il Governo – con la manovra 2020 – ne ha previsto uno. L’obiettivo è incentivare i pagamenti con moneta elettronica da parte dei consumatori finali e contrastare l’evasione fiscale. È destinato a scattare dal 2021 e tutti i dettagli – a cominciare dalla percentuale di rimborso – sono affidati a un decreto dell’Economia, non ancora emanato (il termine per farlo, ordinatorio, è scaduto il 30 aprile).

Nel frattempo, contro alcuni aspetti di questo meccanismo è arrivato un ricorso alla Corte costituzionale da parte della Provincia di Trento (leggi l’articolo su NT+ Fisco). Ma si tratta di una contestazione riferita principalmente alla destinazione dell’eventuale maggior gettito. E, comunque, per arrivare alla sentenza ci vorrà almeno qualche mese.

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