Imposte

Plusvalenze dei collezionisti esenti solo se non c’è speculazione

Le previsioni del disegno di legge delega per la riforma del Fisco. Sfuggono alla tassazione le acquisizioni di opere a titolo gratuito

Il disegno di legge delega per la riforma fiscale (atto Camera 1038), presentato alla Camera il 23 marzo, prevede l’introduzione, nell’ambito dei redditi diversi, di una disciplina delle plusvalenze realizzate dai collezionisti, al fine, si legge nella relazione, di «porre rimedio alla situazione di incertezza oggi esistente al riguardo, anche nell’ambito della giurisprudenza di merito e di legittimità».

Più precisamente, la disposizione di delega statuisce:

● da un lato, l’introduzione di una disciplina che regoli le plusvalenze conseguite dai collezionisti in seguito alla vendita, al di fuori dell’esercizio dell’attività di impresa, di oggetti d’arte, di antiquariato o da collezione e, più in generale, di opere dell’ingegno di carattere creativo appartenenti alle arti figurative;

● dall’altro, che dovranno escludersi da tassazione i casi in cui è assente un intento speculativo, tra i quali vengono espressamente menzionate le vendite dei beni acquisiti per successione e donazione.

La regola quindi è chiara: tutte le plusvalenze realizzate dai collezionisti saranno, in linea di principio, assoggettate a tassazione ai fini Irpef, inquadrandosi tra i redditi diversi; l’unica eccezione riguarderà i casi in cui è assente, in capo al collezionista, un intento speculativo. A questo riguardo, la delega menziona espressamente solo le ipotesi in cui le opere siano state acquisite a titolo gratuito, per successione o donazione (coerentemente con la risoluzione 5/2001 dell’agenzia delle Entrate).

Il legislatore delegato avrà, innanzitutto, il compito di indicare in quali altri casi si debba ritenere assente l’intento speculativo. In proposito, la relazione al disegno di legge esplicita due altre classi di operazioni:

● la prima, molto diffusa, riguarda le operazioni permutative, in cui il collezionista riceve una o più opere in cambio della propria (talvolta, il soggetto scambiante - controparte del collezionista - è lo stesso gallerista che gli ha venduto l’opera in passato); in questo caso, l’assenza di un corrispettivo in denaro (salvo l’eventualità di un conguaglio) dimostra come egli non abbia mirato, con lo scambio, a realizzare un’operazione di natura lucrativa, ma puramente artistico/culturale, modificando semplicemente la composizione della propria collezione;

● la seconda si fonda, invece, sul reinvestimento, entro un predeterminato lasso temporale, del corrispettivo conseguito dalla vendita dell’opera in altri beni rientranti nella disciplina in esame (peraltro, a nostro avviso, anche l’entità della plusvalenza, se esigua, potrebbe escludere la configurabilità di un intento speculativo: si pensi alle transazioni nell’ambito della “affordable art”).

Correttamente, la relazione non menziona la possibilità di condizionare a un holding period l’imponibilità della plusvalenza, come statuiva il Dpr 597/1973, che presupponeva l’intento speculativo per le operazioni di acquisto e vendita dello stesso bene compiute a distanza di un brevissimo arco temporale (si trattava, più esattamente, di un biennio): nel mondo dell’arte i guadagni più cospicui si conseguono dopo diversi anni, cosicché prevedere un holding period, anche ove fosse decennale, renderebbe la nuova disciplina sostanzialmente inutile.

La relazione non subordina la tassabilità della plusvalenza nemmeno a una eventuale attività di “valorizzazione” dell’opera che è stata poi oggetto di vendita, come invece ha ritenuto l’agenzia delle Entrate in alcune risposte a interpello non pubblicate: le attività di “valorizzazione” (catalogazione della collezione, esposizione in mostre e musei, conservazione e restauro eccetera) sono infatti fisiologiche per buona parte dei collezionisti che possiedono opere di pregio, anche a prescindere dall’intenzione di procedere alla vendita delle stesse.

Il legislatore delegato dovrà poi disciplinare taluni aspetti specifici concernenti: la rilevanza e la documentabilità dei costi sostenuti dal collezionista ai fini alla determinazione dell’ammontare della plusvalenza; le modalità impositive cui sottoporre la plusvalenza così determinata.

Per quanto riguarda il primo aspetto, oltre al prezzo pagato per l’acquisto e alle spese a esso inerenti (come trasporto, perizie o rilascio di certificati di autenticità), occorrerà tenere conto degli oneri sopportati dal collezionista in costanza di possesso (ad esempio per assicurazioni o restauri), nonché dei costi accessori alla vendita (quali le commissioni della casa d’aste).

In relazione al secondo aspetto, occorrerà ragionevolmente prevedere, accanto a un criterio di tassazione analitica, con un’opportuna forma di tapering della plusvalenza tassabile legata alla durata del possesso del bene ceduto, anche un criterio di tassazione forfettaria avente lo scopo di salvaguardare quei collezionisti che, essendo convinti dell’irrilevanza della cessione ai fini fiscali, finora non si sono preoccupati di conservare la documentazione relativa ai costi sostenuti.

Infine, come anticipato dalla relazione, dovrà anche essere prevista una disciplina transitoria che permetta di regolarizzare (verosimilmente senza sanzioni) le plusvalenze realizzate negli anni ancora aperti e, possibilmente, di affrancare il costo delle opere di cui il collezionista non possiede la relativa documentazione.

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