Imposte

Passaggi generazionali e aziende, il controllo non può essere decisivo

Gli effetti della risposta a interpello 552: esenzione dalle imposte di successione e donazione limitata a quote di controllo

di Paolo Scarioni e Antonio Fiorentino Martino

L’agenzia delle Entrate limita il perimetro dell’agevolazione sulle imposte indirette dovute in occasione dei passaggi generazionali. Nella risposta a interpello 552/2021 (si veda l’articolo di Alessandro Germani e l’articolo di Angelo Busani) viene infatti adottata una interpretazione restrittiva dell’articolo 3, comma 4-ter, del Dlgs 346/1990, nella parte in cui – per i trasferimenti a favore dei discendenti e del coniuge che abbiano ad oggetto partecipazioni in società di capitali – esclude dall’imposta sulle successioni e donazioni soltanto le quote o azioni mediante le quali «è acquisito o integrato il controllo ai sensi dell’articolo 2359, 1°  comma, numero 1), del Codice civile» (ossia, il controllo di diritto).

L’istante, all’esito di una articolata riorganizzazione, sarebbe divenuto socio unico di una società di capitali (PF Holding), titolare unicamente di una partecipazione pari al 20,52% in una Spa operativa (Alfa); chiedeva quindi con l’interpello la possibilità di fruire del regime di favore concesso dal richiamato articolo 3, comma 4-ter allorché avesse poi trasferito il 100% di PF Holding ai propri figli in comunione tra loro.

L’Agenzia, dopo avere richiamato la sentenza della Corte costituzionale n. 120/2020, ha dapprima posto l’accento sul fatto che, ai fini del beneficio, «ciò che merita rilievo… è la necessaria ed indispensabile presenza dell’oggetto principale della disposizione agevolativa in esame, vale a dire la sussistenza di un’azienda di famiglia, intesa quale realtà imprenditoriale produttiva meritevole di essere tutelata anche nella fase del suo passaggio generazionale, anche per evitare «una conseguente perdita dei posti di lavoro e ulteriori ripercussioni sul tessuto economico»; pertanto, «in assenza di una “azienda”, l’applicazione dell’agevolazione de qua violerebbe la ratio della disposizione medesima». Fin qui l’obiettivo, condivisibile, è contrastare le condotte più aggressive di chi invoca l’agevolazione per trasferimenti di partecipazioni in società che non svolgono alcuna attività commerciale (si pensi alle società esclusivamente intestatarie di immobili, di liquidità o di strumenti finanziari); trasferimenti non meritevoli di essere favoriti, poiché non implicano un vero e proprio passaggio generazionale di un’attività d’impresa.

Tuttavia, precisa subito dopo l’Agenzia, «per coerenza sistematica con la descritta ratio agevolativa anche i trasferimenti di partecipazioni di società che detengono il controllo dell’attività d’impresa possono fruire dell’esenzione in parola, poiché consentono al beneficiario della donazione di continuare a detenere, seppur indirettamente, il controllo dell’azienda familiare». Con la conseguenza che l’agevolazione non potrebbe spettare nei casi in cui – sebbene l’oggetto del trasferimento sia, come richiede la norma, una partecipazione di controllo in una società di capitali (nella fattispecie esaminata, il 100% di PF Holding) – attraverso tale partecipazione gli aventi causa non arrivino a detenere indirettamente il controllo sulla società operativa (PF Holding, infatti, deteneva solo il 20,52% di Alfa).

Nella sentenza 120/2020 sulla quale l’agenzia delle Entrate dichiara di fondare le proprie conclusioni, la Corte costituzionale, pur confermando la legittimità dell’articolo 3, comma 4-ter, in ordine alla specifica questione sottoposta al suo vaglio, ha incidentalmente “colto l’occasione” per mettere in luce talune incongruenze della stessa norma; quest’ultima, infatti, era stata introdotta sulla scorta di una raccomandazione del 1994 e di una comunicazione del 1998, entrambe della Commissione europea, per l’esigenza di «evitare che il peso delle imposte nel momento della successione possa generare difficoltà finanziarie tali da mettere in pericolo la sopravvivenza dell’impresa, con una conseguente perdita dei posti di lavoro e ulteriori ripercussioni sul tessuto economico».

Tuttavia, ha evidenziato la Consulta, l’articolo 3, comma 4-ter, per come oggi formulato, ha una portata molto più estesa, giacché «in concreto l’esenzione […] viene accordata prescindendo da qualsiasi considerazione delle dimensioni dell’impresa, di particolari congiunture sfavorevoli o di indici dai quali sia desumibile la difficoltà dei successori nel corrispondere l’imposta».

Se la preoccupazione dei giudici costituzionali (che comunque non attiene specificamente al requisito del «controllo») può essere comprensibile, è altrettanto innegabile che gli stessi giudici, pur potendo dichiarare l’incostituzionalità della norma in via di autoremissione (come è stato osservato nell’articolo di Franco Gallo), hanno preferito limitare il proprio intervento a un monito per il legislatore; con ciò, quindi, indirettamente confermando che l’ampia applicabilità dell’agevolazione – seppur di dubbia ragionevolezza – è al momento chiara e insuperabile, e che un suo eventuale ridimensionamento non può che essere una scelta di politica legislativa.

Desta, quindi, più di una perplessità che sia invece l’Amministrazione finanziaria a spingersi così al di là del tenore letterale dell’articolo 3, comma 4-ter; e ciò soprattutto perché l’interpretazione avanzata nella risposta n. 552/2021 introduce elevati margini di incertezza operativa: ad esempio, come ci si deve comportare dinanzi al trasferimento di quote di maggioranza di una società titolare sì di un complesso aziendale – e dunque eleggibile per l’agevolazione secondo l’Agenzia –, ma il cui patrimonio è costituito prevalentemente da partecipazioni di minoranza in società operative, o da denaro, o da strumenti finanziari?

La rilevanza dei valori in gioco nei passaggi generazionali richiede invece un elevatissimo grado di certezza del diritto: se l’articolo 3, comma 4-ter oggi in vigore non si dimostra coerente con le finalità perseguite dalle raccomandazioni comunitarie, esso può e deve senz’altro essere modificato. Ma dal legislatore e con parametri ben definiti, come dimostra l’atteggiamento prudente della Corte Costituzionale, non attraverso atti di prassi.

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