Imposte

Separazione, alto rischio di errore per l’Imu della casa coniugale

Attenzione ai casi in cui l’agevolazione non scatta (in assenza di figli o con figli maggiorenni) e ai nuovi casi di esonero con riferimento alle coppie di fatto

di Giuseppe Debenedetto

Uno dei casi ad alto rischio di errore nella gestione dell’Imu è quello riguardante il regime dell’ex casa coniugale in caso di separazione legale dei coniugi, considerata l’evoluzione travagliata della disciplina e i diversi dubbi interpretativi rimasti irrisolti.

Chiusa la parentesi dell’Ici e del contrasto tra ministero e Cassazione sulla natura dell’assegnazione della casa coniugale (se diritto reale o diritto personale), con l’Imu l’assegnatario diventa titolare del diritto di abitazione (legge 44/2012), a prescindere dall’effettivo possesso dell’immobile. In pratica l’ex moglie può vantare un diritto reale sulla casa anche se non ne è proprietaria.

Nel 2014 si cambia nuovamente registro, passando dal diritto di abitazione alla non applicazione dell’imposta in conseguenza dell’equiparazione dell’ex casa coniugale all’abitazione principale (legge 147/2013).

Con la nuova Imu (legge 160/2019), in vigore dal 2020, la figura degli «ex coniugi» viene sostituita da quella dei «genitori affidatari», ma si trascina parte dei problemi registrati con la figura dell’ex coniuge assegnatario, considerato che anche in questo caso manca la precisazione che l’attribuzione della soggettività passiva opera nei limiti della quota di possesso del genitore non affidatario.

La nuova disposizione recepisce comunque i recenti interventi legislativi (come la legge Cirinnà), ma anche la giurisprudenza di legittimità (tra cui Cassazione 11416/2019), che mirano ad una sempre maggiore equiparazione tra coniugi e conviventi di fatto.

La norma fa ora riferimento all’assegnazione della «casa familiare», identificabile nell’ambiente domestico in cui sono cresciuti i figli e quindi nel luogo degli affetti, degli interessi e delle abitudini in cui si esprime la vita familiare.

Con la circolare 1/DF/2020 il dipartimento delle Finanze chiarisce che si prescinde dalla proprietà in capo ai genitori o ad altri soggetti (ad esempio i nonni) e che i requisiti della residenza e della dimora dell’assegnatario non sono rilevanti ai fini dell’assimilazione all’abitazione principale. Il Mef continua quindi a sostenere che il provvedimento del giudice sposta la soggettività passiva in capo all’assegnatario non nei limiti della quota di possesso dell’altro coniuge/convivente, ma in ogni caso, quindi anche nell’ipotesi di abitazione posseduta da altri soggetti ed utilizzata in forza di un contratto di comodato espresso o tacito.

La parte più sorprendente della circolare ministeriale riguarda comunque l’affermazione che «nulla è mutato rispetto alla precedente disciplina», in presenza di una norma che fa invece riferimento al diritto di abitazione in capo al genitore «affidatario dei figli». Quindi, contrariamente al passato, ora l’esonero dall’Imu è subordinato alla presenza di figli minori (o maggiorenni non autosufficienti), per cui in assenza di figli l’imposta va pagata in base alle regole ordinarie.

È evidente, allora, come il quadro normativo sia profondamente mutato, nel senso che ora ci sono casi in cui l’agevolazione non scatta (in assenza di figli o con figli maggiorenni) e nuovi casi di esonero con riferimento alle coppie di fatto. Con l’ulteriore conseguenza che il coniuge non assegnatario dovrà pagare l’Imu, sulla propria abitazione assegnata all’altro coniuge con i figli, quando questi avranno conseguito la maggiore età.

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