Trust interni in cerca di equilibrio: decisivi i poteri rimasti al disponente
Per la convenzione dell’Aia l’istituto è genuino anche se il settlor ha alcuni diritti. La Cassazione sottolinea che la fittizietà di una struttura va provata in modo rigoroso
Si susseguono nel tempo pronunciamenti delle Entrate – da ultimo la risposta 267/2023 – che qualificano come interposti trust che, secondo i più qualificati interpreti, tali non sono.
Le prime interpretazioni delle Entrate in tema di trust e di interposizione (circolari 99/2001, 43/E/2009 e 10/E/2015) risalgono alla disciplina volta a regolamentare l’emersione delle attività detenute all’estero. Tali interpretazioni, che devono essere inquadrate nel contesto normativo straordinario di riferimento – volto a consentire il massimo rientro di capitali in Italia – avevano la chiara finalità di offrire una presunzione interpretativa che consentisse il più ampio accesso al rimpatrio di attività estere e massimizzasse il gettito per l’Erario. In ciò trovava giustificazione l’individuazione, quali indicatori di interposizione fittizia del trust, di fattispecie in cui il disponente fosse anche beneficiario o avesse ritenuto taluni poteri, il che è invece fisiologico nella vita dei trust.
Le Entrate, però, si caratterizzano per una certa inerzia interpretativa e, anche pronunciandosi in contesti non più legati al rimpatrio di attività estere, nel tempo hanno mantenuto invariata la propria posizione (circolari 61/E/2010, 34/E/2022 e le molteplici risposte a interpello nel tempo emanate).
In via di sintesi si può affermare che, per le Entrate, perché un trust non sia interposto il disponente deve perdere ogni interesse nel patrimonio trasferito al trustee. Non deve trarne alcun beneficio, non deve avere mantenuto alcuna influenza diretta o indiretta sullo stesso, non deve poter neanche intervenire sull’eventuale modifica o integrazione dei beneficiari.
È una posizione interpretativa irragionevole, senza alcun fondamento nel diritto interno e contraria non solo al diritto dei trust e alla migliore prassi internazionale, ma anche alla stessa Convenzione dell’Aia, la quale espressamente prevede, all’articolo 2, comma 3, che «il fatto che il costituente conservi alcune prerogative o che il trustee stesso possieda alcuni diritti in qualità di beneficiario non è necessariamente incompatibile con l’esistenza di un trust».
Un trust è perfettamente valido e non interposto in moltissimi dei casi disconosciuti dalle Entrate. Non osta, a mero titolo esemplificativo, alla effettività del trust il fatto che il disponente sia anche il, o uno dei, beneficiari, né che i beneficiari in determinate condizioni possano nominare o sostituire il guardiano, né che un guardiano i cui poteri sono fiduciari sia persona di fiducia del disponente e dei beneficiari, oppure ancora che il disponente abbia mantenuto – tramite strumenti del diritto societario – il potere di nominare l’organo amministrativo delle società le cui partecipazioni sono state trasferite al trustee o che le amministri lui stesso.
Dall’altro lato, troppo spesso vengono istituiti trust da disponenti che in verità non hanno assimilato appieno la natura di tale istituto e, in ciò mal consigliati da chi li assiste, infarciscono gli atti istitutivi di clausole volte a consentire loro di mantenere un potere eccessivamente ampio sul trustee o sul fondo in trust, potere esercitabile direttamente o tramite un guardiano sostituibile in ogni momento e senza giustificato motivo, se non addirittura poteri che consentono di revocare il trust in ogni momento. Sono “trust con l’elastico”, istituiti con una chiara riserva mentale e la non dichiarata volontà di poter continuare a gestire pienamente il patrimonio come se in verità fosse rimasto nella titolarità del disponente o fosse già stato trasferito ai beneficiari. In questi casi non vi è la piena volontà di istituire il trust per il che, mancando una delle cosiddette “tre certezze”, quei trust non sono neanche riconoscibili come tali ai fini del diritto interno, sono giuridicamente inesistenti.
La più recente giurisprudenza in tema di interposizione (Cassazione 17 febbraio 2022, n. 5276, Cassazione 13 aprile 2023, n. 9890) ha chiarito che perché possa sostenersi l’interposizione ex articolo 37, comma 3, del Dpr 600/1973, è necessario accertare «che l’interponente disponga delle risorse del soggetto interposto uti dominus» e deve trattarsi di una prova «alquanto rigorosa». Non qualunque interesse o potere riservato al disponente o ai beneficiari, quindi, rende il trust interposto, ma è solo la particolare ampiezza dei poteri che rileva. Perché un trust possa essere considerato interposto è necessario che i poteri riservati al disponente o ai beneficiari siano talmente ampi e pervasivi da far sì che, direttamente o indirettamente, gli stessi effettivamente dispongano del patrimonio trasferito in trust come se fosse loro.