Imposte

Per la riforma fiscale globale binari Ocse a due velocità

Il Pillar one (che prevede la redistribuzione) è ormai pronto al varo. Il Pillar Two (global minimum tax) sarà ad applicazione volontaria

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di Alessandro Galimberti

La sfida dell’Ocse per la (equa) tassazione dell’era digitale - accordo tra 136 giurisdizioni annunciato a Parigi la scorsa settimana - approda oggi a Washington al G20 dei ministri delle finanze in vista del vertice di Roma in calendario a fine mese.

L’accelerazione politica imposta nel 2021 sul punto dal presidente americano Joe Biden, dopo sei anni di gestazione lenta, ha portato anche all’implementazione dei tavoli tecnici dei due grandi Pilastri della riforma fiscale globale. A un passo dallo storico varo del nuovo ordinamento, che dovrebbe debuttare nelle intenzioni già dal 2023, l’Ocse ha pubblicato i primi paper tecnici che illustrano lo stato attuale dei lavori.

Paper che dimostrano il grado di maturazione del Pillar One (redistribuzione delle tasse nei Paesi dove si fa business) e, allo stesso tempo, le criticità ancora non risolte sul Pillar Two, la tanto annunciata Minimum tax globale con aliquota al 15 per cento.

Il primo punto - Pillar One, redistribuzione - che non riguarda comunque le attività estrattive e i servizi finanziari regolamentati, tocca le multinazionali (Mne) con fatturato globale superiore a 20 miliardi di euro e redditività superiore al 10% calcolata utilizzando un meccanismo di media con il fatturato. La soglia potrebbe abbassarsi a 10 miliardi all’esito di una revisione, sette anni dopo l’entrata in vigore dell’accordo. Soggetto passivo è chi ricava nella giurisdizione almeno 1 milione di euro, ma in quelle più piccole (Pil inferiore a 40 miliardi) la soglia è a 250mila euro. Nel Pillar One sono chiarissime le regole di ingaggio relative al bilancio: l’utile o le perdite sono determinate con riferimento al reddito contabile, con poche rettifiche ammesse. Le perdite verranno riportate a nuovo.

Il 25% del profitto ulteriore rispetto al limite soglia del 10% sarà assegnato alle giurisdizioni in cui sarà rilevato il “nexus”, utilizzando una chiave di allocazione basata sulle entrate. Ricavi che saranno forniti alle giurisdizioni del mercato finale in cui vengono utilizzati o consumati beni o servizi, in base a normative che saranno implementate più avanti. Per affrontare le - facilmente prevedibili - controversie sui rischi di doppia imposizione, le multinazionali beneficeranno di meccanismi di prevenzione e risoluzione ad hoc (ad esempio, controversie sui prezzi di trasferimento e sui profitti aziendali) con la clausola di obbligatorietà e vincolatività.

Importante sottolineare che l’entrata in vigore del Pillar One impegnerà tutti i Paesi a rinunciare, o a rimuovere se già esistono - come in Italia - le tasse sui servizi digitali (Dst) impegnandosi inoltre a non tornare più sull’argomento - inviso a tutte le amministrazioni Usa, non solo a quella Biden - in futuro.

Il secondo pilastro (Pillar Two) incentrato sulla Global minimum tax (formalmente al 15%) è più suggestivo ma di fatto è ancora su un piano molto teorico. E non solo per il fatto che la sua applicazione sarà su base volontaria e consisterà sostanzialmente nell’adozione di standard comportamentali.

Il Pillar Two ha due regole nazionali interconnesse (insieme alle regole Global anti-Base Erosion Rules (GloBE) e un’imposta complementare sulla controllante in relazione al reddito a bassa tassazione di una controllata, oltre a una regola di pagamento(Utpr) che nega le detrazioni o richiede un adeguamento equivalente alla misura in cui la fiscalità della controllante non è soggetta a tassazione.

Qui però, a differenza del Pillar One, non si è (ancora) arrivati alla definizione e all’individuazione chiara della base imponibile. E non è detto che la deadline molto vicina - di fatto i primi mesi del 2022 per una prevista entrata in vigore nel 2023 - giochi a favore di una rapida definizione dei problemi ancora sul tavolo.

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