Imposte

Con Beat e Gilti il fisco Usa torna indietro di 17 anni

di Alessandro Galimberti

Beat e Gilti, i nuovi acronimi del diritto fiscale Usa con i quali dovremo imparare a convivere, rappresentano un salto indietro di almeno 17 anni sullo scenario tributario internazionale e, combinati con la campagna protezionistica sui dazi firmata giovedì scorso dal presidente Donald Trump, pongono una grande incognita sul futuro delle relazioni globali.

A stretto giro di posta - l’occasione è il «Forum Eu-Us Tax regulationship: contest or dialogue», organizzato da Ludovici & Partners - arriva la risposta alla lettura “legittimante” della Us Tax reform operata da Raffaele Russo, rappresentante del Mef ed ex Ocse (si veda Il Sole 24 Ore del 7 marzo).

Secondo il panel di esperti riuniti a Milano, la direzione presa dal Congresso Usa lo scorso dicembre è incompatibile con il progetto Beps (Base erosion profit shifting) attorno a cui l’Ocse ha lavorato negli ultimi dieci anni - e che gli Usa appunto non hanno firmato il giugno scorso - perché, ha detto Paolo Ludovici, «il progetto Ocse ha impostazione e finalità antielusive, mentre il sistema Beat è esclusivamente costruito e baricentrato sugli Usa». Questo è un problema di teoria e di trattatistica internazionale - avallando di fatto forme di discriminazione impositiva messe al bando dagli inizi degli anni 2000 (con la fine della foreign sales tax) - ma oggi è soprattutto un tema di mercati e di relazioni tra colossi, con la Cina contrapposta a Washington e l’Europa a rischio di soffocamento fiscale. E se dai corridoi il sentiment americano è palpabile («la web tax italiana è reddito nostro, all’Italia manca selfconfidence ma soprattutto manca il gettito fiscale, non può pensare di compensarlo così») dal palco di uno degli incontri del forum arriva chiara la preoccupazione delle multinazionali italiane. “Il Beat Usa è in realtà la protezione della “mia” propria base imponibile - ha detto Zaira Quattrocchi, group tax director di Barilla -; dobbiamo chiederci come questo nuovo approccio americano sia compatibile con la trasparenza, con il fairness delle politiche tributarie internazionali. Difficile ipotizzare che si evolva in qualcosa di protettivo per l’Europa, che è solitamente disarmata nei confronti del resto del mondo su questo tema . Noi companies europee siamo senza protezione».

E anche il Gilti, il secondo pilastro della “nazionalizzazione fiscale” trumpiana, secondo gli esperti è un sistema che insegue l'imposta a stelle e strisce “ovunque e a prescindere”, considerato che tutto ciò che eccede il 10% degli asset di ritorno viene tassato negli Usa e con aliquota bassa, per restare in competizione con i migliori “paradisi” legali.

Quanto alla nuova puntata sui dazi, esplosa giovedì scorso con la firma del decreto presidenziale, Vieri Ceriani, consigliere del ministero dell’Economia su temi fiscali e ad di Sose (Soluzioni per il sistema economico), parlando dell'effetto su acciaio e alluminio prodotto da imprese italiane come Ilva e Alcoa, ha preconizzato che «quando si inizia un conflitto commerciale ci sono azioni di replica e di solito ci si fa male da tutte le parti».

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