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Impatriati in smart working, agevolazione «sdoganata» se ci sono i requisiti

Il requisito della “prevalenza” viene soddisfatto quando il lavoratore presta la propria attività nel territorio italiano per un periodo superiore a 183 giorni l’anno

di Giorgio Emanuele Degani

Incentivi agli impatriati e remote working internazionale. Negli ultimi mesi diversi interpelli rivolti alle Entrate si sono concentrati su un punto del regime speciale previsto per chi rientra in Italia: si può accedervi pur lavorando da remoto per una società basata in un altro Paese, europeo o no?

Da inizio anno ci sono stati ad esempio gli interpelli n. 3, n. 55, n. 186, n. 222 e n. 223. Ma a questo interrogativo già l’anno scorso l’Agenzia aveva dedicato una serie di risposte (si pensi alla n. 596/2021), stabilendo un’importante apertura: l’agevolazione può applicarsi anche a quei lavoratori in possesso dei requisiti (siano o meno cittadini italiani) che trasferiscono la propria residenza fiscale in Italia per svolgere l’attività da remoto in favore di imprese estere (e prescindendo dalla preesistenza di un vincolo contrattuale con queste ultime).

Nei recenti interpelli di quest’anno il Fisco ha quindi ribadito il concetto: il remote working non preclude l’accesso al regime speciale per i lavoratori impatriati.

Questo regime, ricordiamo, è stato oggetto di modifiche con il decreto Crescita 34/2019, che ha previsto un abbattimento del 90% dell’imponibile fiscale nell’anno del trasferimento in Italia e nei cinque periodi d’imposta successivi.

Per accedervi, però, occorre che il lavoratore:
1)
trasferisca la residenza nel territorio dello Stato italiano in base all’articolo 2 del Tuir;
2)
non sia stato residente in Italia nei due periodi d’imposta antecedenti al trasferimento e si impegni a risiedere in Italia per ameno due anni;
3)
svolga attività lavorativa prevalentemente nel territorio italiano.

L’agevolazione può inoltre essere estesa di ulteriori cinque periodi d’imposta, con un abbattimento del 50% dell’imponibile fiscale, qualora il richiedente abbia un figlio minorenne o a carico, anche in affido preadottivo, o acquisti un’unità immobiliare di tipo residenziale.

Ebbene, con le risposte pubblicate quest’anno l’agenzia delle Entrate si è soffermata sul concetto di lavoro «prevalentemente» svolto in Italia: tale requisito della “prevalenza”, che deve sussistere per ciascun periodo d’imposta, viene soddisfatto laddove il lavoratore presti la propria attività nel territorio italiano per un periodo superiore a 183 giorni l’anno.

Con specifico riferimento al remote working, le Entrate hanno dunque rilevato che i lavoratori impatriati possono comunque accedere al regime speciale, quando trasferiscono la propria residenza in Italia per proseguire, in modalità da remoto, l’attività lavorativa estera nei confronti del proprio datore di lavoro straniero e in forza di un precedente contratto di lavoro.

Gli ultimi interpelli pubblicati, in particolare, hanno riguardato l’accesso all’agevolazione fiscale da parte di:

● un medico psichiatra che aveva svolto attività lavorativa alle dipendenze di un datore di lavoro estero e che si accingeva a svolgere attività di telepsichiatria alle dipendenze di una società americana e nei confronti di pazienti americani (interpello 223/2022, si veda l’articolo);

● una ricercatrice universitaria che, oltre a svolgere attività di docenza e di ricerca all’estero in modo non continuativo, aveva anche prestato attività lavorativa subordinata fuori dall’Italia part time da remoto (interpello 222/2022, si veda l’articolo);

● un dirigente di una multinazionale statunitense, distaccato nella sede olandese dell’impresa (interpello 186/2022);

● un dirigente di un’impresa unionale, autorizzato a svolgere la propria attività lavorativa in smart working (interpello 55/2022);

● una lavoratrice dipendente autorizzata a svolgere attività lavorativa subordinata in smart working e a recarsi fiscamente presso la sede della società in Svizzera per cinque giorni al mese (interpello 3/2022, si veda l’articolo).

Le soluzioni interpretative fornite dall’Agenzia sono dunque ormai assodate. E appaiono il frutto di una corretta valorizzazione dei principi generali e della ratio della disposizione agevolativa, anche alla luce del cambiamento imposto al mondo del lavoro dalla generalizzata crisi pandemica.