Imposte

Indeducibilità dei costi da regimi privilegiati: decide la lista Ue dei Paesi

La penalizzazione è limitata agli importi eccedenti il valore normale derivanti da società ubicate nei 12 Stati inseriti nell’elenco europeo. La chance della «seconda esimente»

di Antonio Tomassini

Torna, con la legge di Bilancio 2023, la normativa antielusiva specifica sulla indeducibilità dei costi cosiddetti black list, presente nel nostro ordinamento dal 1991, oggetto di numerosi interventi modificativi ed infine di abrogazione con la legge 208/2015. La disposizione viene accolta sempre nell’articolo 110 del Tuir e si applica alle persone giuridiche e fisiche che svolgono attività di impresa in Italia, ivi incluse le stabili organizzazioni.

Avrà, tuttavia, un impatto molto meno dirompente che in passato, visto l’ambito di operatività piuttosto limitato sia sotto il profilo soggettivo che oggettivo.

L’indeducibilità è relativa esclusivamente alla parte di costo per l’acquisto di beni e servizi da soggetti “paradisiaci” eccedente il “valore normale” (definito ai sensi dell’articolo 9 del Tuir) e impone una accurata opera di coordinamento con altre discipline, come quelle in materia di Cfc e di transfer pricing.

Tale regola di indeducibilità si applica non solo con riguardo ai costi sostenuti verso le imprese ma anche verso i professionisti ubicati nelle giurisdizioni di favore. L’evoluzione del panorama giuridico internazionale in materia di scambio di informazioni tra Paesi nel settore fiscale e il lavoro svolto in sede di Unione europea rendono invero, come anticipato, circoscritto l’ambito di applicazione della novella, posto che oggi la black list di riferimento su cui opererà la norma è quella Ue (la quale contempla solo 12, “lontani”, Paesi: Samoa Americane, Anguilla, Bahamas, Fiji, Guam, Palau, Panama, Samoa, Trinidad e Tobago, Isole Turks e Caicos, Isole Vergini americane, Vanuatu).

Vediamo più in dettaglio. Per i costi eccedenti il valore normale (per quelli entro tale valore vigono le regole generali) torna ad essere applicabile la regola della indeducibilità a meno che venga provata la cosiddetta “seconda esimente”, cioè l’interesse economico effettivo ad effettuare la transazione e la sua concreta esecuzione. A tal fine, così come avveniva nella vigenza della vecchia disposizione, è prevista la facoltà di presentare interpello probatorio e di accedere alla procedura di cui all’articolo 31-ter del Dpr 600/1973 (“Accordi preventivi per le imprese con attività internazionale”) per definire preventivamente i metodi di calcolo del valore normale.

È, infine, disposta la reintroduzione anche della sanzione amministrativa del 10% dell’importo non indicato, con un minimo di 500 e un massimo di 50.000 euro, in caso di violazione dell’obbligo di separata indicazione in dichiarazione dei redditi dei costi black list, indipendentemente dalla sussistenza dei presupposti per l’applicazione della “seconda esimente”.Nel caso in cui il soggetto verso il quale si sostengono i costi sia una Cfc del soggetto italiano, le regole Cfc sono prevalenti rispetto a quelle relative all’indeducibilità del costo. Come chiarito anche per la vecchia disciplina dalla circolare del 26 settembre 2016, n. 39/E, in caso di società estere Cfc la controllante italiana dovrà tassare per trasparenza il reddito estero ed è pertanto possibile portare in deduzione i costi black list derivanti da transazioni commerciali intercorse con la medesima partecipata estera senza che sia necessario dimostrare la sussistenza della seconda esimente.

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