Imposte

Accise dovute sulle lavorazioni dentro i depositi commerciali

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di Benedetto Santacroce ed Ettore Sbandi

Gli impieghi di prodotti energetici effettuati nei processi di lavorazione nei depositi fiscali non sono assoggettati ad accisa solo nelle ipotesi di raffinerie e impianti di produzione e non anche per i depositi commerciali che gestiscono prodotto in sospensione d’imposta. Con la risoluzione 1/2020 le Dogane prendono posizione su un tema spesso controverso, legato all’applicazione delle esenzioni di cui all’articolo 22 del Testo unico delle accise. La questione indirettamente affrontata è relativa all’inquadramento e alla definizione di «processo produttivo» rilevante ai fini accise, per comprendere se le operazioni di miscelazione possano o meno essere ricondotte a tale definizione.

L’articolo 22 dispone che il consumo di prodotti energetici all’interno di uno stabilimento che produce prodotti energetici non è considerato fatto generatore di accisa se il consumo riguarda prodotti energetici fabbricati sia all’interno che al di fuori dello stabilimento; viceversa, per i consumi non connessi alla produzione di prodotti energetici è dovuta l’imposta. Peraltro, sono considerati consumi connessi con la produzione di prodotti energetici anche quelli effettuati per operazioni di riscaldamento necessarie per conservare la fluidità dei prodotti energetici, purché effettuate nell’interno dei depositi fiscali.

Tuttavia, i depositi fiscali autorizzati a stoccare prodotto in sospensione d’imposta sono di due tipi: da un lato, esistono gli stabilimenti di produzione e gli impianti petrolchimici, previsti dall’articolo 23, comma 1, del Tua; dall’altro, vi sono i depositi commerciali (ossia gli operatori della logistica dei carburanti), in alcuni casi specifici autorizzati a operare in regime sospensivo, ai sensi dei commi 3 e 4 del medesimo articolo 23. Questi ultimi soggetti, di fatto, in genere e salve alcune eccezioni peculiari, non producono merci raffinate, ma si occupano della loro commercializzazione. Tuttavia, in questi depositi si svolgono spesso operazioni di miscelazione, debitamente autorizzate, per rendere i prodotti più adeguati a determinati utilizzi. Ebbene, per l’Agenzia, queste operazioni non possono di regola essere definite come operazioni di produzione e, pertanto, esulano dall’applicazione dell’articolo 22.

L’iter seguito per la soluzione del caso muove dalla ricognizione della norma unionale (direttiva Accise) e, poi, al suo recepimento nel Tua. Qui, la Dogana focalizza l’attenzione sul fatto che il beneficio dell’esenzione d’imposta è sempre connesso al tema della produzione che, nel Testo unico, sarebbe rigoristicamente ricondotta alle sole fattispecie dell’articolo 23 comma 1, ossia raffinerie e impianti petrolchimici, e non anche a quelle dei successivi commi 3 e 4 della citata disposizione, dedicati ai depositi commerciali gestiti in regime fiscale.

Dunque, la distinzione così operata, per l’autorità doganale, già basta a rendere non estensibile la portata della norma a questi ultimi, riservandosi l’applicazione ai soli impianti industriali. Per l’effetto, anche le miscelazioni, ancorché in alcuni casi, non possono essere ricondotte, di norma, al concetto di «produzione». In realtà, alcuni impieghi e alcuni processi produttivi sono effettuati anche nei depositi che, storicamente o per attività prevalente, sono definiti come «commerciali» e, dunque, potrebbe suggerirsi, comunque, un approccio case by case, sebbene l’orientamento generale dell’amministrazione finanziaria, pure condivisibile, sia ora effettivamente chiarito.

Agenzia delle Dogane, risoluzione 1/2020

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